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FLAVIO
ERMINI
«Ribeltà/Esperienza
del linguaggio» di Armando Bertollo
Malo,
MUSEO CASABlANCA, 20 marzo 2005
Parleremo
questa sera del libro di Armando Bertollo "Ribeltà/Esperienza
del linguaggio". Cominciamo dagli immediati dintorni di questo
volume, dintorni che possono essere identificati con le edizioni. La
Collana che ospita "Ribeltà" di Armando Bertollo
si chiama Via Herakleia. E’ una Collana che ho fondato nel 1997
con Ida Travi, e la Casa Editrice, come diceva prima il Direttore del
Museo Giobatta Meneguzzo, è la Cierre Grafica. Quando abbiamo
pubblicato il primo volume nel 1997, abbiamo elaborato dei comunicati
stampa; in uno di questi scrivevamo:
Con questa iniziativa
intendiamo inoltrarci in zone della poesia fortemente contaminate
dall’arte, dalla filosofia e dall’estetica o, più
in generale, dalla fusione dei linguaggi della modernità.
Mettere in luce quei modi di scrittura che sono lasciati vagare fuori
dall’ortodossia letteraria, oltre...le colonne d’Ercole.
“Via Herakleia” nasce dalla convinzione che ci sia ancora
bisogno di poeti in sintonia con il futuro e perciò
indefinibili: oggi come ieri sono loro che stendono la rete
attraverso cui transita il sapere e propongono le opere in cui più
acutamente è avvertibile la totale libertà di una
poetica. “Via Herakleia” si propone dunque di documentare
ciò che non è ancora emerso e aprire il nuovo millennio
testimoniando i primi capitoli di una nuova opera tutta da scrivere.
Nella scelta dei volumi da pubblicare, abbiano sempre mantenuto fede a
questa apertura verso quelle opere in cui più acutamente è
avvertibile la totale libertà di una poetica. E lo dimostra il
24° volume che abbiamo pubblicato, “Ribeltà”
di Armando Bertollo, dove la libertà di pensiero e la libertà
di espressione sono veramente di casa. Bertollo, in “Ribeltà”,
lavora a pagine che si costituiscono propriamente come ‘disegni
del pensiero’. Come tali, queste pagine sono formate da parole
e da immagini. La loro struttura che cosa evidenzia? Evidenzia che il
cielo è instabile. Sfogliando il volume si possono incontrare
delle tavole che parlano del cielo, ci dicono che sulla terra il caos
è incombente. Ma in pari tempo ci propone di delimitare un
‘habitat’, dove, sia pure con un certo disagio, ci è
possibile vivere. Vediamo come questo possa accadere. Ciò
accade grazie all’”Esperienza del linguaggio”, come
recita il sottotitolo del volume. Cosa significa? Sottolinea, questo
sottotitolo, che ciascuno di noi è gettato nel tempo, fin
dalla nascita, ed è condannato a fare esperienza. E’ una
condanna, l’esperienza, non è una libera scelta che
ognuno di noi fa. E’ una condanna che ci viene data fin dalla
nascita. Se ne possono vedere gli aspetti positivi, comunque è
una condanna. Tanto da farci riconoscere che siamo soltanto un punto,
insignificante. Noi siamo soltanto un punto fra i tanti, una
particella assolutamente impersonale, in un universo che è
sterminato. Tanto da farci riconoscere, in altre parole, che le cose
sono nel raggio della nostra attenzione —le vediamo—, ma
senza che si riesca mai a conoscerne l’essenza. Diciamolo
chiaramente: l’uomo conosce soltanto dei segni vuoti. Non
conosce le cose in se stesse. Per conoscere l’ essenza delle
cose, l’uomo ha bisogno di una mediazione, cioè ha
bisogno del linguaggio, ha bisogno di alcune leggi che si dà,
che sono quelle della ragione, e ha bisogno dell’osservazione,
che avviene attraverso i nostri sensi (il tatto, la vista...). Va da
sé, che l’uomo può conoscere soltanto l’ombra
delle cose, che è data appunto dalla mediazione di un
linguaggio. Che, appunto, non è il linguaggio delle cose, ma è
il linguaggio dell’uomo. Può conoscere le cose
attraverso le leggi, che non sono le leggi delle cose, ma le leggi
dell' uomo. Può conoscere sì attraverso i sensi, ma
anche questi sono i sensi dell'uomo , non delle cose. L ‘opera
si frappone tra sè e queste cose che le stanno intorno e delle
quali non può certo conoscere l’essenza.E’ chiaro
a questo proposito Spinoza quando dice: “La perfezione delle
cose deve essere valutata soltanto in base alla loro natura, in base
alla loro potenza. Le cose non sono più o meno perfette perché
dilettano o offendono i sensi degli uomini, oppure perché
favoriscono la natura umana, oppure l’avversano.”
Sembrerebbe evidente questo concetto, no? Le cose oggettivamente
hanno la loro essenza, la loro vita. Eppure l’uomo che cosa fa?
Preferisce normalmente accogliere la seconda soluzione. E’
evidente perché: perché questa la ritiene più
gratificante. Perché pone l’uomo ancora una volta, dopo
tanti secoli, al centro dell’esistenza. E questo malgrado
Copernico, malgrado Darwin, malgrado Freud. Copernico ci aveva detto
che l’uomo non è più al centro dell’universo.
Darwin ci aveva detto che l’uomo non è più al
centro della natura. Freud ha detto addirittura che l’uomo è
estraneo a se stesso. Ma c’è un altro elemento che
Armando Bertollo fa emergere con questo libro, con “Ribeltà”:
oggi l’uomo non cerca più di diventare ciò che è,
l’uomo ora sceglie all’interno di quanto qualcun altro ha
predisposto. Teme che se qui non cadesse la sua scelta, nelle cose
che gli altri hanno predisposto per lui, la sua azione non
diventerebbe leggibile, diventerebbe incomprensibile e sarebbe
inscritta, secondo la nostra società, nella follia. Eppure, se
ben ci pensiamo — e la storia è lì a dimostrarlo—
ogni tentativo di comprensione totale della natura e delle cose,
emerge soltanto da un fondo abissale, dal caos interiore, quale
apertura, quale spalancamento, quale disponibilità, in tutti i
sensi. Non è un caso che Bertollo —cosciente di questo—
affidi a un imperativo di Celan la chiusura del suo libro: “Portati
con l’arte là dove sei più ristretto in te
stesso, e realizza la tua libertà.” La poesia, a
differenza però della filosofia, e a differenza di tutte le
scienze della psiche (la psicanalisi, la psichiatria, la psicologia),
non acceca l’intelletto per consolare il cuore. La filosofia,
in fondo cerca questo, cerca di consolarci, di far sì che la
nostra ragione la offuschiamo; oppure la rendiamo talmente limpida da
offuscarci il sentimento, che è quello che probabilmente ci
rende più vicini alle cose. Scrive Kant che la ‘terza
via’ passa per una corda che non è appesa in alto, ma è
appesa appena al di sopra del suolo. Questa ‘via’ sembra
destinata più a fare inciampare, che a essere percorsa.
Eppure, è questa la ‘via’ che è più
aderente alle cose. E Bertollo, come indica “Ribeltà”,
non si stanca di cercarla.
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