Sviluppare
un pensiero in linguaggio artistico-poetico su un tema di tale
complessità, può da un lato essere un'impresa che si
apre a molteplici soluzioni, dall'altro, però, può
essere pericolosa, perché può offrirsi ad altrettante
semplificazioni, stereotipi, pregiudizi, manierismi. La richiesta
iniziale potrebbe anche essere parafrasata in "Che ve ne sembra
della vostra 'madre' adottiva?" - almeno per quanto riguarda i
nati a partire dalla mia generazione - . Oppure: "Che ve ne
sembra della vostra 'appartenenza' al mitologema culturale
americano?". Questa duplice riformulazione mi permetterebbe di
concentrarmi sugli aspetti che maggiormente condizionano la
percezione degli Stati Uniti d' America, di chi, appunto, come il
sottoscritto, è nato nella metà degli anni Sessanta del
secolo scorso, e porta con sé, sin dalla prima infanzia, tutto
il corredo di condizionamenti – come 'imprinting' – del
modello americano. L'essere cresciuto con l'arrivo in casa della
televisione, ovverosia dell'embrione dell'attuale 'società
dello spettacolo', preconizzata proprio in quegli anni da Guy Debord,
con tutto il suo carico di miti a popolare il mio immaginario di
bambino, fa sì che qualsiasi opinione io possa avere oggi,
quarant'anni dopo, sull'America, non può prescindere dal
portare implicazioni conflittuali o 'edipiche', come accade di solito
in ambito più strettamente parentale, con i propri genitori in
particolare.Certamente potrei anche uscire dall'autobiografico e
scegliere di affrontare la questione esplorando qualche aspetto
storico del debito culturale che da parte sua l'America deve
all'Europa. In questo modo capovolgendo la questione e osservando
l'America nel suo originario stato di 'figlia' dell'Europa del
Cinque, Sei, Settecento, che ha saputo emanciparsi non appena gli
'Americani' hanno girato le spalle all'Oceano che li separava dal
Continente europeo, con i suoi ben presenti sedimenti di civiltà
millenarie, per guardare e partire verso la 'loro' terra vergine: la
frontiera. E da lì, sottomessa e confinata la cultura dei
nativi, ricominciare con tutto il potenziale e l'energia di una
nazione giovane. Poi sappiamo tutti quello che è venuto dopo,
con l'industria cinematografica: l'esportazione in tutto il mondo del
loro mito fondativo, l'epopea del Far West. Potrei uscire dal
personale anche soffermandomi sui debiti di riconoscenza che gli
Europei hanno con l'America che ha contribuito in misura fondamentale
a liberarli dal nazi-fascismo, e poi a 'difenderli' dall'influsso del
comunismo sovietico. Oppure potrei ricordare l'America meta di
emigranti, tra i quali il mio bisnonno. E perché non parlare o
'discutere' artisticamente dell'America degli ultimi decenni,
interventista, 'sceriffo del mondo', presa di mira e colpita
duramente dal terrorismo islamico nel 2001?
Da
questa breve sequenza di considerazioni, certamente non esaustiva,
ma, spero, indicativa, non può che emergere la mia difficoltà
nel dire ciò che a me sembra l'America. E non solo per le
implicazioni anagrafiche personali, ma anche per l'insita complessità
del 'cosmo America': un grande 'inconscio', capace di tutto: di
essere stata - se ricordo bene - l'ultima nazione ad abolire la
schiavitù dei neri, ed ora di essere la prima dell'Occidente
guidata da un Presidente di colore. Difronte a tutta questa
'complessità', ho scelto, per una volta, di sospendere il mio
'giudizio', per fare da tramite 'sincronico' alle parole sagge, sulle
quali riflettere, di un testo fondativo della tradizione culturale
cinese: I CHING, Il Libro dei Mutamenti. Questo libro, tenuto in
grande considerazione da Jung, il teorico della psicologia del
profondo, dell' inconscio collettivo, del concetto di 'sincronicità',
presenta delle sorprendenti analogie con le più recenti
acquisizioni del pensiero scientifico, in particolare della fisica,
che hanno evidenziato i limiti del pensiero occidentale tradizionale
fondato sul principio di 'causalità'. Il
limite del pensiero razionale-causale si può riassumere nel
fatto che la sua 'efficacia' è condizionata da ben precise e
prestabilite condizioni, come dire: da un 'artificio' preliminare che
permette la prevista consequenzialità di un evento. In
mancanza di tali condizioni, le interferenze in grado di modificarne
l'esito ne inficiano la sua prevedibilità. Altresì, il
pensiero così definito da Jung, 'sincronico', tipicamente
orientale, considera significativa la compresenza o coincidenza degli
eventi nello spazio e nel tempo e - per usare le sue parole –
"scorgendovi qualche cosa di più del mero caso, e cioè
una peculiare interdipendenza degli eventi oggettivi tra di loro,
come pure tra essi e le condizioni soggettive (psichiche)
dell'osservatore o degli osservatori". Il Libro dei Mutamenti
'funziona' come il linguaggio dei sogni, dove il significato si
rivela nella compresenza, nella simultaneità degli elementi
della situazione e non nella loro sequenza, che in verità è
assurda, secondo la logica della realtà di veglia. Questo
libro, se consultato e meditato con la dovuta serietà, sembra
in grado di attivare e far rispondere l'inconscio.
Per
WPA 2011 ho chiesto al Libro dei Mutamenti: "Cosa te ne sembra
dell'America?". Ho attivato
la sua risposta con il lancio per sei volte delle tre monete yin e
yang. Mi ha risposto con l'Esagramma 26, LA FORZA DOMATRICE DEL
GRANDE mutante nell'Esagramma 22, L'AVVENENZA. Ho documentato con un
video questa operazione, effettuata il 9 aprile 2011, nella casa, ora
disabitata, dei miei nonni materni, nel cucinino dove, nella mia
infanzia, spesso osservavo dalla finestra la pianura vicentina,
immaginando il mio 'Far West'. In un secondo momento ho decostruito e
ricostruito l'Esagramma 26 in una forma ibrida tra figura e scrittura
da applicare, come installazione in cartoncino nero, su una
superficie.
Schio,
13 Aprile 2011
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