Letture proposte nel 2007 | Il_moto_apparente_del_sole

Letture proposte nel 2007 : Il_moto_apparente_del_sole

 
Previous Index #25 of 54 del.icio.us Next





Su gentile concessione dell'autore riportiamo la Prefazione di Massimo Donà:



Variazioni sull´ombra


Autentica riflessione sulla vanità del "dire"; ma insieme sulla sua non meno "paradossale" necessità. Quasi a voler dare parola a una lingua aurorale che di quella vanità possa farsi un giorno in qualche modo responsabile. Perchè non saprebbe mai venirne a capo, e neppure mascherarne la verità. Quasi a ottemperare un unico e potente imperativo: quello che, solo, avrebbe potuto imporre la consegna del proprio "verissimo "lamento al mistero di un esistere che, giusto all´ombra dell´esperibile, del giudicabile e del riconoscibile, s´arrischia a promettere "vera" vita.
Di tutto ciò è implacabile testimone la scrittura di Flavio Ermini. Vera e propria "vita nova" è infatti quella cui egli volge "convinto" lo sguardo. Anche se non di un´altra vita si tratta; perchè non basta liberarsi delle vane occupazioni di quaggiù; come se, a essere in gioco, fosse una mera questione di spirito d´avventura ¬ bastevole a farci metter l´ali e volare per altri lidi. Magari verso la radura di quella verità che tutto "salva".
No; il lucido canto che qui si dipana sapientemente cadenzato è tutto intriso di sapienza lacerata; infranta come la vita, cioè ¬ e quindi da sempre incapace di corrispondere alle interrogazioni che il mondo stesso testardamente le impone. E dunque originariamente consapevole (di là dalla consapevolezza che di ciò possano averne questo o quel singolo soggetto) del fatto che, proprio di tale frattura, ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo progetto... saranno fedele testimonianza.
Perché è proprio di tale incontro ¬ quello con l´estraneità più radicale! ¬ che abbiamo bisogno per poterci dire davvero chi siamo. O meglio, chi "non" siamo; perché proprio noi siamo a noi stessi il primo e più indecifrabile enigma. Mondo a noi stessi, insomma, siamo tutti noi; ombre che vengono prodotte nel momento stesso in cui ci si vuole portare alla luce, nell´illusione di poter finalmente smascherare ogni possibile finzione.
Mere finzioni di verità; questo siamo, insomma, tutti noi — e questo sa bene ogni vero "cantore". Verità che si finge libera dall´errore; quasi non sapesse che proprio e solamente di erranza è fatto il suo argomentare, e quindi la sua stessa pretesa di verità.
Perciò Ermini ha osato l´inosabile; d´altro canto cosa meriterebbe d´esser osato più dell´assolutamente inosabile? Mai uomo sulla terra può dirsi tanto umile quanto colui il quale decida di osare l´inosabile; se è vero che, paradossalmente, proprio "limitandosi a osare l´osabile si finirebbe per alimentare la sconfinata hybris della scienza esatta!
Chi sa di mirare all´inosabile, infatti, mai potrà illudersi di aver risolto il "problema"; ovvero, di aver compiuto un percorso sino all´ultima meta e di averne preso possesso. Mai potrà farsi incantare dal "risultato". Ma sempre si disporrà alla sua più radicale messa in questione; e dunque alla sua "vera" negazione.
Non a caso qui non ci si decide affatto; e dunque non si prende "parte"; ovvero, non si disegna un senso, per consentire una qualche sua rassicurante appropriazione; ma si prende congedo anche dal "facile" sapore della "poesia". Si guarda, certo, alla poesia; anzi, la si evoca silenziosi. Certo, la si frequenta anche, ci si mimetizza nel suo pudore antico. Ma non ci si "decide" per essa.
Si sceglie una collocazione instabile, piuttosto; strutturalmente insicura, e dunque tremendamente incerta. Si riflette a partire dalla poesia, insomma; si contempla e si "argomenta", disincantati, ma sempre a distanza di sicurezza... ben lontani dalla potenza ammaliante e seduttiva delle ragioni avanzabili da parte di qualsi voglia verità; ma nello stesso tempo si "versifica" ¬ convinti dal rigore di cui ogni inesplicabile "sentire" abbisogna, là dove non intenda farsi catturare dall´inessenziale arbitrio del "sentimento".
Oscilla, dunque, Ermini; e divaga la sua prosa... oscilla come un´indecidibile che chiunque possa proporsi di decidere e utilizzare. Si espone, quindi; consapevole che mai ci si potrà elevare dal paesaggio di rovine di cui è fatta ogni umana esistenza. Rovine di un inizio che non legifera, che non risponde più alle nostre chiamate; ma che in queste ultime, più propriamente, sempre e solamente si annuncia e si espone. Esponendosi per ciò stesso al più lacerante paradosso ¬ è evidente. D´altro canto, l´evidenza vive da sempre nella più radicale delle tenebre.
Ma in tali rovine la lingua del cantore sa di dover imparare a muoversi; e sempre in opposizione al senso "dato". Oltre ogni peraltro ineludibile idolatria. Ché, anche la devozione al "silenzio" rischia di risolversi in pura idolatria. Idolatria di un´incompiutezza che solo il Sacro consentirebbe di accogliere "ingiudicabile" e al massimo venerabile. In questo senso le parole del presente libro vanno a costituire un crittogramma costantemente attento a non farsi mascherata theoria; che avrebbe di contro, innanzitutto, la sua stessa pretesa di verità. E che perciò non perde occasione per contra¬dirla... dando voce all´ombra che sempre si insinua furtiva tra le sue pieghe; e si fa contro¬canto a se stessa. Intendendo restituire, alle rovine del senso che incontra lungo il proprio cammino, tutta la loro potenza decostruttiva. Perciò le lascia lì dove sono; a far resistenza a ogni bulimico infuturamento. A ogni vorace strumentalizzazione.
D´altronde, quale lingua potrebbe mai riassumere tutti gli alfabeti dell´esistente — che, proprio in quanto infiniti, mai potranno essere ricomposti in un´unica e ordinata lingua universale? Quale osservazione, infatti, potrebbe mai ricostruire e ricucire le infinite lacerazioni di cui possiamo esperire semplici resti di significato?
Semplici ombre di significato sono quelle che crediamo di dominare; anche se con esse fingiamo una universale traducibilità; che è proprio compito del vero cantore ricondurre alla sua sempre insorgente origine. E far ri¬suonare, come in una musica talmente perfetta da rasentare il "troppo" del muto e silente esserci. Quasi si trattasse di «prove generali della vita» (da Il libro segreto di Zimmer), e dunque di un grido tanto forte da sapersi infine soffocare nella propria stessa immediata trasformazione. Nel nulla del Verbo, insomma; dove «da lingua resta simile alle pietre», e l´esserci si libra indifferente nei confronti dei nostri piccoli e sempre troppo miseri interessi. Dove la singolarità irriducibile di ogni esistenza potrà un giorno, forse, ritrovare la condizione di possibilità per una con¬sonanza che sia innanzitutto e finalmente "materiale" — nel senso aristotelico del termine, si badi bene. Nel senso di quella materia che tutto tiene insieme e tutto fonda da sè sola. Di là da ogni improbabile sudditanza nei confronti dell´eterna fissità della forma. D´altro canto, già Andrea Emo lo diceva: che «la poesia non deve nascere da vaghi sentimenti, ma dalla roccia, come l´acqua di Mosè — dalla roccia del destino, della necessità, della conoscenza » (in Le voci delle Muse); dalla dura impenetrabilità del suo mistero; ovvero, dalla sua perfetta inspiegabilità. E proprio perché si tratta di conoscenza. Nulla più della conoscenza custodisce infatti, e gelosamente peraltro, la propria autorevole inconoscibilità; la propria perfetta materialità. Ché solo la forma è sempre oggettuale, e quindi sempre perfettamente definibile ossia conoscibile e determinabile. Insomma, la forma è solo apparentemente in questione, là dove, a insorgere, sia un autentico bisogno di sapere e di comprendere in primis il senso stesso di questo nostro inappagabile bisogno. E dunque la stessa ineludibilità del nostro corrispondervi. Del nostro essere volti al vero enigma dell´esistente — alla sua pura materialità. AI suo volto nudo. Ovvero, alla nuda cosa ¬ al semplicissimo fatto del suo esserci. Che solo nella relazione e per la disponibilità una continua metamorfosi si renderà un giorno, forse, in qualche modo esperibile. Lo sa bene Ermini. Che proprio perciò vuole accedere alla materia e alla sua perenne trasfigurazione. E cantarla. Rifletterla nell´estraneità di un canto che riveli senza mediazioni la nostra intrinseca duplicità; perciò è attento ai «minimi impulsi che possono sempre sconvolgere il disegno » della riflessione in atto; e offrirla misteriosamente al suo stesso puro essere. Ma invero all´esserci di ogni questo e di ogni quello; di ogni legame, di ogni gerarchia, di ogni situazione.
Da ciò, una lingua ¬ la sua ¬ essenzialmente "donativa". Che restituisce tutto quel che ha gratuitamente ricevuto. Dai grandi e dalla storia; dai presenti e dagli assenti; dalla stirpe e dagli Dei. Certo, lo ha ricevuto; ma sa di doverlo restituire al vento libero che spinge sino al fondo; quello da cui tutte le direzioni diventeranno finalmente possibili. Anche questo, lo sa bene Ermini. E si prova a tentarne una, di direzione ¬ la sua. Unica, irripetibile... eppur cosÌ profondamente consonante con il coro che da tempo immemorabile sembra essersi accordato a intonare, inflessibile, le note di quello che già Emo avrebbe icasticamente definito «puro canto di una gratuità».





Citazioni:

pag 54, Il foglio che teniamo tra le mani è la fessura attraverso la quale le voci della casa natale si insinuano.

pag 60, Per l’essere umano, il presente si delinea sempre di più come un precipitare rovinoso verso la fredda progressione numerica, l´alvearità, il monologo, la perdita della visione d´insieme, in un brusco passaggio verso l´ammutolire del canto.

pag 66, Il nostro spazio diventa uno spazio claustrofobico. Proprio per questo è necessario spingere lo sguardo più in là delle reti, verso quanto è lontano. Sarà ancora possibile aprirci alla relazione?

pag 67, Siamo diventati figure a pelle reticolare,a sangue reticolare, a voce reticolare.

pag 72, L´Antiterra è il luogo del molteplice. (...) Quale unico successo resterà l´ascolto terreno della parola che si china verso il vuoto per accoglierlo.

pag 73, ...Da quando la trascendenza ha perso la sua forza vincolante ed è ammutolita, l´uomo abbandonato a se stesso reclama, al cospetto del nulla, la sua libertà. In tale divergere da un fondamento metafisico s´inaugura il gesto filosofico della modernità, che non smette di interrogarsi sul senso del vuoto lasciato da questa perdita.

pag 74, Lo stesso io è diventato un momentaneo mosaico di pulsioni, stati d´animo, sentimenti discontinui: un´ aggregazione continuamente scomposta.

Pag 74, Nell´Antiterra il soggetto tenta di cogliere parvenze eteree, sostanze impalpabili, spirali astrali in una furiosa molteplicità di nuclei dove l´occhio scivola abbagliato e non sa dove posarsi.

pag 80, Il dire di cui si discorre è uno scenario esposto allo sfondo aperto della vita e del tempo, dov´è possibile avanzare verso ciò che ci accade e verso ciò che ci sospinge nel disordine del senso. In tale contesto è avvertibile la necessità di un pensiero della poetica, che non va più confuso con la stilistica.

pag 81, Wilfred Bion: "Dedicare tempo a ciò che è stato scoperto significa concentrare la propria attenzione su qualcosa di estremamente secondario. Ciò che importa è l´ignoto."

pag 81, Guarire le parole. Questo è il compito al quale vanno chiamati oggi i filosofi e i poeti.

pag 108, Conoscere è patire, diventare altro.

pag 110, Va posto orecchio all´appello che il mondo ci rivolge, in quanto parlare vuoi dire prima ascoltare.

pag 113, Lo sai: per generare, il tuo corpo deve lacerarsi.

pag 119, Il mondo è una somma inestricabile di sensazioni.

pag 125, Vivo in un mondo impostato su sensi ridotti a ruderi. Per tale motivo ritengo pertinente una pronuncia pulviscolare.

Pag 132, Fuga e controllo di sè, seduzione e intervento della scontentezza, urto e abbraccio con le forze delle terre circostanti: queste le oscillazioni e i mutamenti nello spazio topografico.

Pag 140, La fede consente di decifrare quella verità che sfugge allo storico e all ´esegeta, impegnati a interpretare la storia soltanto come pura temporalità e non come simultaneità in un essere superiore.

pag 143, Roland Barthes: l´emittente dell´opera d´arte non esiste. Esiste solo colui che la guarda e ne rimane sensibilizzato. Infatti il pittore non è dalla parte del quadro, ma da quella dell´altro se stesso che lo fa proprio come spettatore. Il pittore è insediato nei meccanismi psichici del ricevente. Non gli interessa ciò che le sue tele riportano. Bensì il gioco di specchi interpretativi che l´opera fa scattare nel momento in cui fa la sua apparizione.

pag 145, Ci sono narratori che possiedono un territorio d´azione esclusivo. Tempo ed esperienze non hanno mai inciso su di loro, né hanno scalfito i loro propositi. Parte della comunità a cui appartengono è spesso incostante: è un serpente che cambia pelle con molta frequenza. Loro al contrario conoscono lo scavo lento; qualche volta magari interrotto; ma non la defezione. Le loro opere sono essenziali. Si direbbero uscite dalle loro mani con la leggerezza di un volo. Hanno sopportato invece la pazienza e l´insoddisfazione; il ripensamento e il percorso da rifare. Ogni confronto non è avvenuto all´interno della ragione, ma tra la ragione e la sua ombra. Le loro opere sono nate molte volte, prima di nascere definitivamente. E la loro crescita avviene nel pericolo. Per questo quando sono compiute hanno saldezza e senso. Questi narratori posano il loro sguardo direttamente sull´uomo, trascurando altre più allettanti figure. Ed è uno sguardo privo di pietà.

pag 146, L´uomo che questi narratori descrivono è in perpetua attesa: quella di assumere il ruolo che qualcuno ha predisposto per lui. (...) Le sue orecchie sono sorde alle voci dei luoghi interiori. (...) La sua ricerca non incontra che suture, e là dove sembra sfiorare la ferita aperta cerca il filo che la chiuderà. In questo teatro dell´illusione, egli è dinamico, ma dentro è fermo. Discute ma non possiede voce propria. (...) Siamo di fronte a un essere che va perdendo gradualmente l´uso degli arti e degli organi di senso. In verità, a che servono gli arti in un mondo di computer e scale mobili? E a che servono gli organi di senso in un mondo in cui conoscere è sempre in qualche modo riconoscere, riportare l´Altro al medesimo, ricondurre l´alterità nella cornice stabile e innocua dell´identico? E conta davvero avere un´identità se ci riconosciamo precisamente come segni che vengono dopo altri identici segni?

Pag 147, Ora, mentre l´uomo che si piega all´ordine imposto è un´aberrazione, l´essere che non accetta si configura come una vera e propria disarmonia per la mentalità corrente. Com´è possibile prendere in considerazione chi s´immerge nel regno delle tenebre per scoprirvi l´ombra? chi ciecamente s´inoltra nella terra incognita senza il proposito di tracciarne la mappa? (...) Battaille:"non c´è più posto in un mondo dove il bisogno di essere uomo fa difetto, se non per l´immagine senza attrattiva dell´uomo utile".

pag 152, (...)la fiaba (...) può (...) rendere compiutamente l´ora più bella della nostra interiorità.

pag 155, Oggi la poesia non scende più dalle stelle. Ha rinunciato all´aureola ed esce dalle pieghe della terra. Per poi espandersi e muoversi fra la gente. È un albero e non un cirro sperso. Pag 162, Porgere ascolto alla parola poetica significa ipotizzare la fine di ogni poetica fondata sulla nozione di proprietà, sia spaziale sia temporale, a favore di una poetica senza mete e senza punti di partenza.

pag 164, Creare un´opera significa disporsi a un´attesa, dopo essersi incamminati su una strada offerta dal paesaggio.

Pag 165, Musil: "Il pensiero non consiste nel fatto che vediamo ciò che si è sviluppato in noi, ma nel fatto che uno sviluppo interno si estende fino a questa zona chiara "

pag 174, Desidero che nella mia esperienza poetica torni a vivere quel rapporto originario che esiste tra corpo e mondo, di totale integrazione, correlazione. (...) Stabilito che una poesia è un´aggiunta alla realtà, va designata la necessità che lega l´atto di scrivere ai dati fondamentali della condizione umana.

pag 180, L´uomo può avanzare, scrive Benn, "fino a quelle sfere dove nella totalità stanno antichissime sfingi".

Pag 214, Plotino nelle ´Enneadi: "La creazione non procede né da un ragionamento né da un progetto, ma è prima di qualsiasi ragionamento e di qualsiasi progetto, poichè tutte queste cose, ragionamento, dimostrazione e prova, sono posteriori".

pag 221, È nella verità chi sta sulla soglia, sapendo di non poterla inventariare se non in modo frammentario.

Pag 223, Al tacere dell´ombra, l´uomo ricade nella sua nullità di essere miserevole, che si affanna intorno a una superficie impenetrabile: si affida ai guardiani della coscienza e contempla le tenebre dalla rocca della ragione. Al tacere dell´ombra s´interrompe il dire, ed è evento compiuto il naufragio della lingua.

pag 224, "Compito di noi dicenti è di abitare la materia della verità, di diventare noi stessi verità".

pag 227 Spinto dalla necessità di stabilire strette connessioni tra concetto e manifestazione del mondo, tu non sembri un realizzatore di vere e proprie opere, ma un paziente estensore di un´elevatissima introduzione a tutte le opere che dovranno far seguito alle tue.

pag 229 "Noi fummo interi" dice Platone , e il desiderio dell´antica unità così come la sua ricerca ha per nome Eros". (..) Eros è mancanza,bisogno, insufficienza e nel medesimo tempo via, passo per accedere a ciò che non si possiede. È la forza perpetuamente insoddisfatta e inquieta che occupa il " posto intermedio tra l´uno e l´altro estremo".

pag 232, Il poema segnico è lo specchio incrinato dove ciascuno può andare a raccogliere frammenti di verità.

Pag 237, Tentare di ordinare il mondo secondo quella personale prospettiva senza la quale ci troveremmo smarriti nell´accumulazione confusa degli avvenimenti.

Pag 238, Chi si avventura per le strade del mondo con sensibilità selettiva vede uscire presto dalle cose la loro ombra. Ma tutto ciò che troviamo è un arricchimento; seppure modesto, del paesaggio che sta in noi e di cui si compone la nostra vicenda. Con le cose che il mondo ci offre, inventiamo noi stessi.

pag 242, Il desiderio è tutto lo spazio a disposizione del soggetto.

pag 246, È festa quando diviene possibile ascoltare l´emozione che sale dal sentire al pensiero.

Pag 250, La costellazione dei segni viaggia in uno spazio sconosciuto. (...) Il viaggio è un susseguirsi di esperienze che generano e non generano un disegno coerente.

Pag 252, Talvolta è l´elemento verbale che dal fatto contingente s´innalza al vertice esistenziale, dove inizio e fine si attraggono in un fluido di echi. Talaltra sono i profili segnici che si librano in un profilo ontologico che tiene sotto di sé, lontane e sfocate, le esperienze concrete.

pag 253, Il compito del pensare non è andare oltre ma sostare. Non varcare la linea, ma soffermarsi su di essa. Soggiornare nella propria epoca, volgendo lo sguardo al fondo, alla propria originaria negatività.

pag 254, Chiede Mogni: crescita come soluzione di continuità o come costante ricongiunzione dei margini di una ferita? Forse poetare equivale a essere creatore e insieme creatura.

pag 255, Mandel´stam: "Mi piego alle umili radici /e guarda come divento insieme cieco e forte...".

pag 257, ...e la luce delle stelle arriva dopo anni, troppo tardi per capire il presente.

Pag 266, Va evitata la tendenza a considerare un atto della mente alla stregua di un ente reale. Chi elabora un sistema filosofico su un concetto non costruisce su un terreno solido. Eppure larga parte della storia della filosofia non è che la storia dell´esasperazione di concetti ritenuti erroneamente elementi basilari dell´essere. Va aperta alla filosofia la possibilità di farsi pensiero del mondo, dopo che la filosofia ha preteso di assumere su se stessa come il proprio oggetto. La verità è la direzione del nostro sguardo verso ciò che ci ha fatto essere tutto quello che siamo e tutto quello che abbiamo detto.

pag 267, Benjamin: "Quelle che per gli altri sono delle deviazioni sono per me i dati che definiscono la mia rotta."

pag 268, Ma veniamo all´idea di sostanza riferita all´io: vi è in noi qualcosa d´invariabile da opporre alla mutevolezza dell´esperienza?

pag 270, Sentire e pensare si attraggono e si respingono, instaurando un dialogo che poggia su piani diversi ma non inconcigliabili. Questa alternanza dà corso a una scrittura che fa della materia messa in circolo dal pensiero il proprio soggetto.

pag 275, Non si tratta di andare da un territorio all´altro, ma di creare una nuova terra. Dove le forme dell´ascolto (del linguaggio, ¬inclusione mia ¬) s´innestino sull´atto produttivo...

pag 277, ...L´accesso all´antipensiero presupponga di ripetere l´inatteso gesto che Baumgarten aveva compiuto nel Settecento: disseppellire il significato dell´estetica aisthesis, scienza del sensibile: "Aesthetica est scientia cognitionis sensitivae".

Pag 279, La lingua deve frantumarsi per esprimere nel buio delle cesure ciò che si sottrae all´ espressione. Vuoi dire dunque che per giungere nel luogo in cui tutte le direzioni sono possibili è necessario scendere nelle profondità oscure dove la parola è ancora mancante di senso? Sì, non c´è altro modo. Posso aggiungere che dall´oscurità non si può rifuggire quando si è alla ricerca della luce, perchè ogni cosa, qui, ha in sé il proprio opposto.

pag 283, La nostra unica salvezza risiede nella coscienza di operare nello spazio limitato che si forma tra due cadute, nella comune fragilità.

pag 284, Il viaggio ha tra i suoi requisiti la leggerezza di un sogno è il peso della posta in gioco. (...) Il sogno consiste (...) nel ripercorrere l´avventura umana: riandare all´inizio della nostra storia, nell´antro da cui ha origine l´essere umano, e con lui la prima nominazione e la spiritualità prelogica; passare attraverso l´esilio, la prigionia della ragione, la follia del ritorno; fino a inoltrarci nella selvaggia Wildniss nominata da Hölderling, non selva, ma radura che attende il primo passo dell´uomo: quell´aperto in virtù del quale saltano le facili separazioni tra interno ed esterno, passato e presente, e nel quale giungiamo a guarire le parole e a incontrare le cose.

pag 285, La posta in gioco è anche il chaos? Sì ma ricordando che la radice indoeuropea di questa parola ¬cha ¬ interviene in vari gruppi di parole quali chasco,chaino, che significano "mi apro", "mi dischiudo". Tanto da far pensare che chaos originariamente non significasse solo disordine e mescolanza, ma anche quell´apertura che Esiodo colloca all´ "inizio","per prima", prima ancora degli dei: quando l´anima conosce solo una disposizione e nessuna qualità, una possibilità e nessuna facoltà. Quell´apertura originaria e totale al cui interno s´impone la parola,(il linguaggio e le sue forme, ¬mia inclusione¬).

pag 289, L´agglomerazione esprime il presente e la sua logica classificatoria. La sua apparente armonia provoca invariabilmente una conseguenza: la mortificazione.

pag 292, Sottrarsi all´esilio significa liberarsi dalla dittatura dell´intelletto e aprire alla nostra immaginazione una terra che abbiamo abbandonato. Quella del tempo in cui la vita metteva sensazioni per conoscere e fantasie per coprire ogni cosa di una polvere d´oro.

pag 293, Dall´antro ai confini dell´altopiano, fino al deserto; e poi dall´aggiomerazione fino alla Wildniss, fino ai nuovo inizio; il pensiero sarà l´intermezzo di una marcia tra due dimore silenziose, un viaggio nei quale il contatto con la verità dell´anima e con la sua salvezza non si presenta mai come un´acquisizione definitiva, ma come un processo cognitivo mai concluso.


© La pubblicazione sul Sito apuntozeta per gentile concessione dell'autore.

JAlbum 7.3