Armando
Bertollo
(Per
“la dimora del tempo sospeso”, sulla scrittura di Flavio
Ermini)
Intervengo
proponendo questa breve osservazione ‘panoramica’.
La
scrittura di Flavio Ermini si presenta come ‘cresta dell’onda’.
Come emergenza sulla superficie del mare che si osserva e si sente
dal litorale: sempre in arrivo, sempre in dissolvimento, come la
vita. Se ne può parlare in termini di ‘frammento’
-come è stato ben fatto-, oppure (da intendersi non come
opposizione ma come ‘anche’) di ‘filamento di
tessuto linguistico’ che non si compie mai arrivando al punto,
eppure in sé stesso ben definito. In questa scrittura non
incontriamo la frantumazione del significante nei suoi elementi più
semplici, atomici, pre-significativi, come è avvenuto -per
intenderci- nella poesia di Andrea Zanzotto. Non c’è
quella ‘risonanza’ degli elementi minimi della frase,
della parola, ora siamo difronte alla ‘risonanza’ del
‘logos’, del discorso, del quale affiorano magmatiche,
immagini-azioni e riflessioni in continua ‘dissolvenza
incrociata’ -per usare la terminologia cinematografica. Questi
accenni definiti, in continuo dentro-fuori sotto-sopra il discorso,
in una successione sorprendente come il montaggio di un film
surrealista, o un ‘blob’, sono legati tra loro da un
esile ma fondamentale ‘filamento’, costituito dal ritmo e
dal respiro proprio dell’autore, che fa stare in contatto il
‘logos’ con la sua veste originariamente mitica, cioè
poetica. Il discorso affiora alla vista della coscienza senza
‘spiegare’ la sua energia potenziale. E qui l’uomo,
particolare relativo ed effimero punto di vista, dopo aver
abbandonato l’illusione consolatoria, appunto, della
‘spiegazione’, può abbandonarsi -questo sì-
alla ‘spiegazione’ in atto dell’azione stessa della
scrittura come capacità-possibilità di esserne abitato,
di esserne pertanto custode e custodito. Il ‘logos’ che
ha rinunciato alla mortificante chiarezza ‘platonica’,
attraverso Flavio Ermini ‘perdura’ nel suo farsi-disfarsi
filamento ritmico del continuo ripresentarsi della manifestazione
originaria. Come Penelope, come il ragno, l’autore non recide
mai il filo dove si sospende, non se lo può permettere,
tradirebbe sè stesso, cadrebbe nel vuoto, gravemente, come
ogni cosa materiale e umana. Allora si riprende dal mare, dal vedere
e sentire il mare magma, psiche originaria, movimento ondoso dove ci
fa incontrare il limite, ‘logos’-luogo poetico che si
erge in cresta, e si dissolve sulla superficie, sul ‘corpo’
dell’abisso.
Ottobre
9, 2010
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