Letture 2010

Il compito terreno dei mortali

 
Index del.icio.us


Armando Bertollo

(Per “la dimora del tempo sospeso”, sulla scrittura di Flavio Ermini)


Intervengo proponendo questa breve osservazione ‘panoramica’.

La scrittura di Flavio Ermini si presenta come ‘cresta dell’onda’. Come emergenza sulla superficie del mare che si osserva e si sente dal litorale: sempre in arrivo, sempre in dissolvimento, come la vita. Se ne può parlare in termini di ‘frammento’ -come è stato ben fatto-, oppure (da intendersi non come opposizione ma come ‘anche’) di ‘filamento di tessuto linguistico’ che non si compie mai arrivando al punto, eppure in sé stesso ben definito. In questa scrittura non incontriamo la frantumazione del significante nei suoi elementi più semplici, atomici, pre-significativi, come è avvenuto -per intenderci- nella poesia di Andrea Zanzotto. Non c’è quella ‘risonanza’ degli elementi minimi della frase, della parola, ora siamo difronte alla ‘risonanza’ del ‘logos’, del discorso, del quale affiorano magmatiche, immagini-azioni e riflessioni in continua ‘dissolvenza incrociata’ -per usare la terminologia cinematografica. Questi accenni definiti, in continuo dentro-fuori sotto-sopra il discorso, in una successione sorprendente come il montaggio di un film surrealista, o un ‘blob’, sono legati tra loro da un esile ma fondamentale ‘filamento’, costituito dal ritmo e dal respiro proprio dell’autore, che fa stare in contatto il ‘logos’ con la sua veste originariamente mitica, cioè poetica. Il discorso affiora alla vista della coscienza senza ‘spiegare’ la sua energia potenziale. E qui l’uomo, particolare relativo ed effimero punto di vista, dopo aver abbandonato l’illusione consolatoria, appunto, della ‘spiegazione’, può abbandonarsi -questo sì- alla ‘spiegazione’ in atto dell’azione stessa della scrittura come capacità-possibilità di esserne abitato, di esserne pertanto custode e custodito. Il ‘logos’ che ha rinunciato alla mortificante chiarezza ‘platonica’, attraverso Flavio Ermini ‘perdura’ nel suo farsi-disfarsi filamento ritmico del continuo ripresentarsi della manifestazione originaria. Come Penelope, come il ragno, l’autore non recide mai il filo dove si sospende, non se lo può permettere, tradirebbe sè stesso, cadrebbe nel vuoto, gravemente, come ogni cosa materiale e umana. Allora si riprende dal mare, dal vedere e sentire il mare magma, psiche originaria, movimento ondoso dove ci fa incontrare il limite, ‘logos’-luogo poetico che si erge in cresta, e si dissolve sulla superficie, sul ‘corpo’ dell’abisso.

Ottobre 9, 2010


JAlbum 7.3