Strange Days è
il titolo, ereditato da un album storico dei Doors del 1967,
della nuova personale di Luisa Raffaelli alla galleria La
Giarina. Una mostra che ruota attorno a sensazioni, spostamenti
impercettibili, variazioni su di un tema, quasi una sintesi della
poetica dell’artista, un compendio che non chiude però
ogni discorso ma lo sospende. Infatti, le immagini di Luisa
Raffaelli hanno in sé una forza centrifuga che scompagina
l’ordine naturale. Non vi sono tentazioni seriali, ma la
realtà appare forzata a mostrare quello che è
permanente, dietro le apparenze. L’artista sposta
leggermente di segno ogni accadimento naturale, orchestrando gli
elementi in modo continuo con una forma narrativa che è
fatta di sequenze. La tecnica non è quella dello
stravolgimento, dell’immagine di forte effetto emotivo,
anche se riesce a mettere insieme un elemento sempre
riconoscibile (la donna in fuga) ambientata in situazioni urbane
o in claustrofobici interni.
Questo lavoro ormai ha una
temporalità sufficientemente ampia perché si possa
parlare di una forma di “quotidiana epicità”.
La Raffaelli ha inventato un personaggio, una donna dai capelli
rossi che infiamma e attraversa scenari urbani o moli
abbandonati, derive di una civiltà che produce scarti e
illusioni, dove non sembra mai esserci posto per tutti. Le
avventure della donna (che evidentemente non ha una biografia
definita ma rappresenta tutte le donne), che anima le sue foto
dagli anni Novanta, sono lo scandaglio di una interiorità
che è certamente il riflesso delle attese ed esitazioni
dell’artista, ma assume una forma simbolica che però
non diventa mai apodittica. La Raffaelli racconta per immagini,
il suo è un libro diviso per capitoli. La fuga, il
nascondersi, il ritrovare se stessa negli oggetti, negli effetti
personali magari solo celati (e raccolti) nella borsa, sono
metafora di una condizione di clausura, di un’invisibile
prigione da cui tentare di uscire. Poi l’artista gioca
benissimo sul rapporto tra una sorta di ambiente definito dal
colore in modo metallico e ostile e la figura dai capelli rossi
che si muove, che cerca, che non trova e non si fa trovare.
Prevale non solo il contrasto tra la scena e la protagonista, ma
anche l’idea che tutto sia comunque in movimento, un falso
movimento. Ma è questo probabilmente il fine del tutto,
muoversi cercando un improbabile centro di gravità
permanente. Movimento e assenza di peso, su queste coordinate
fisiche e sui loro risvolti psicologici, si muove il lavoro di
Luisa Raffaelli che recentemente ha aggiunto anche una serie di
lavori dedicati alla natura, agli alberi, all’ambiente. Gli
alberi levitano nello spazio, fuggono dalla terra in un moto
anche questo centrifugo quanto decisamente ascensionale. Una
fuga, un allontanamento, quasi la ricerca di un altro spazio più
proficuo, migliore, più adatto alla vita. La donna e gli
alberi diventano una sorta di principio vitale che si sparge nel
mondo, che fugge alla ricerca di una situazione ideale.
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