Tu
cancro. Io donna.
Ammalarsi
di femminilità
al
6 al 21 ottobre 2012 a Vicenza, nel Palazzo delle Opere Sociali in
piazza Duomo 2.
www.tucancroiodonna.it
«Bisogna
avere la forza di dare alle cose il giusto nome: tu cancro. E il
coraggio di conoscersi e farsi riconoscere nella propria intima
essenza: io donna. Questo ci rende liberi. A me la malattia ha
regalato una nuova femminilità, più consapevole e
matura. E “ammalarsi di femminilità” significa non
riuscire più a fare a meno delle mie cicatrici».
La
mostra
Un
corpo “graffiato”, a tratti evanescente. Un corpo
osservato e giudicato. Una femminilità riscoperta, matura,
tenace e orgogliosa. Oltre la malattia. E’ questo il filo
conduttore della mostra fotografica “Tu
cancro Io donna. Ammalarsi di femminilità” che
avrà luogo dal 6 al 21 ottobre 2012 a Vicenza, nel Palazzo
delle Opere Sociali in piazza Duomo 2.
Curatrice
e protagonista del percorso espositivo, Noemi Meneguzzo, una
giovane insegnante di 39 anni. Una “cancer survivor”. Una
donna che sa di avere il cancro ed è ancora viva. Le foto sono
soprattutto opera di Raffaella Bolla e Daniela Dall’Ora.
Co-curatore della mostra Marco Legumi.
Affrontare
una malattia mortale richiede sempre una revisione delle proprie
priorità e un confronto con i propri valori. Nel
caso del cancro al seno, una donna si trova anche a dover ridefinire
la questione della propria femminilità, della propria identità
di genere e delle relazioni sociali, al
di là degli stereotipi e della visione altrui. L’esperienza
vissuta in prima persona, la convinzione che la femminilità
continui a esistere oltre il cancro ha reso forte nella curatrice
l’idea di una mostra fotografica, di una trama di immagini che
spinga l’osservatore a riflettere sulla femminilità
e-oltre la malattia.
La
mostra si caratterizza per l’alternanza di immagini, parole e
oggetti che conducono il visitatore in un viaggio tra anima, corpo e
percezione del sé, un viaggio di cui non sarà semplice
spettatore, ma spesso attore protagonista. Un percorso in cui sarà
chiamato a interrogarsi, a guardare ma anche a guardarsi. Foto
appese a pannelli, immagini a terra, adagiate su sedie e divani,
scale di grigi, tripudi di colore, parole appese condurranno
l’osservatore in un cammino dall’io, al chi sono,
all’altro da sé attraverso una riflessione sull’identità
di genere.
L’esposizione
si snoda in quattro stanze, “Chi sono”, “Io”,
“Per chi” e “E mi sono messa a ballare”, che
approfondiscono il dialogo tra aspetti fisici della malattia,
trattati in pannelli monocromatici, e psicologici, raffigurati a
colori e con tecniche diverse.
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