La
Giarina Arte Contemporanea
Via
Interrato dell'acqua morta, 82
Verona,
VR 37129 Italy
presenta:
MARCO
BOLOGNESI
a
cura di Valerio Dehò
6.10.2012
| 8.12.2012
Inaugurazione
sabato 6 ottobre, ore 18.30
dal
mar al sab 15.30 - 19.30
e su appuntamento
Tel 045
8032316
Fax 045 4851227
Bolognesi
costruisce un suo mondo a parte, si chiama B.O.M.A.R. UNIVERSE
come sintesi del suo nome, e non è un caso o un eccesso
di narcisismo. Lui crede veramente che lo “spazio interno”
quella parte di universo che costituisce il nostro paesaggio
interiore, abbia o trovi occasioni per traboccare e costruire un
mondo esterno, globale, in cui il dentro e il fuori sono la stessa
cosa. Marco Bolognesi sembra aderire ad un’ estetica cyber
punk, è amico di Bruce Sterling, ma ha anche lavorato con
Vivienne Westwood a Londra. Sa che la pelle è importante. E’
tutto una questione di gestire le apparenze, molteplici, che vogliamo
indossare. Finiamo per essere quello che vediamo e di adeguarci a
come siamo visti. Tutto normale.
E’ un artista visivo,
completamente visivo, le storie che racconta sono approcci per
similitudine, assonanze, consonanze, riverberi e distorsioni.
Appartiene mentalmente allo stream nato dalla mostra “Post
Human” del 1991 di Jeffrey Deitch. Il suo lavoro fotografico,
installativo o cinematografico parte e ritorna sempre al tema della
pelle e del corpo. Probabilmente ci sono anche vicende personali che
hanno determinato questa sua visione del mondo, ma la sua è
soprattutto una scelta culturale. Saldare il passato al futuro, la
carne ai transistor: in mezzo c’è sempre e soltanto il
corpo. Questo può essere quello delle modelle nudo o
modificato dalla tecnologia, c’è del sesso nascosto in
ogni angolo del suo lavoro, c’è il bondage che attrae ma
anche l’odore del cuio è visibile e percepibile. Un suo
film del 2008 si chiama “Black Hole” e se il buco nero
fosse De Sade, se il destino dell’uomo è alla fine
quello di soffrire e godere nello stesso tempo?
Ma lui costruisce.
In “Humanescape” del 2012 la serie di fotografie sono
esattamente questo: un corpo nudo in un paesaggio infantile fatto di
piccoli pupazzi e di strutture da meccano. Un gioco. Qualcosa che si
può fare con le mani. E la stessa arte fotografica di Marco
Bolognesi non ha simpatia per le miscele digitali. Preferisce
lavorare con i set, con il trucco, con quella dimensione di una
tecnologia che non è una scorciatoia ma sa ancora di sudore e
fatica. Ancora il corpo, quindi, ma anche la messa in posa, il lungo
operare per costruire un’immagine finale che solo il cinema
rende apparentemente facile.
Bolognesi in questo ha ancora dentro
quello stile di professionalità artigianale alla John
Carpenter, il mitico regista di “Distretto 13” e di “Dark
Star” oltre naturalmente di “1997: fuga da New York”.
Proprio da “Dark star” l’artista ha preso il
titolo per una mostra del 2009 a Parma, curata da Elena Forin, in cui
veniva presentato il progetto Genesis:
12 light box e una colonna/ totem dentro la quale fluttuano
volti tridimensionali di una nuova razza umana ibridata con le
macchine. Ma il futuro per Bolognesi è intriso di
primitivismo, di cultura pop, di derive fumettistiche oltre che di
mille link alla cultura punk. In effetti, il suo interesse è
centrato sul concetto di mutazione, sulla logica e la casualità
delle trasformazioni che mettono in dubbio la biologia del
cambiamento fisico e l’apertura a universi paralleli. Il corpo,
quindi, ma anche le sue interazioni con gli universi del fetish, del
cyborg, dell’immaginario cinematografico di Cronenberg e Burton
o letterario che va da Phil K. Dick all’indimenticabile James
G. Ballard di “Crash”. L’universo creato da
Marco Bolognesi possiede tante sfumature, la stessa attenzione
per la donna e il suo volto, deriva dalla sua attenzione per il
cambiamento, il trucco, il cambiare personalità con un colore
dei capelli o una linea attorno agli occhi. Il fascino verso il
glamour deriva da questa sensibilità. Il resto sta proprio
nell’evoluzione di una cultura narrativa di anticipazione in
cui l’immagine dell’uomo e della macchina si fondono in
un ibrido fluttuante, modificabile dalle circostanze e dalla
tecnologia. Come in “Negromante” d William Gibson, il
confine tra computer e l’uomo non sta più nelle
terminazioni nervose ma nella memoria di un'altra epoca e di un
altro corpo.
La cultura artistica e letteraria di Bolognesi, da
anni residente a Londra, deriva dai personaggi e intellettuali
che negli anni Ottanta e Novanta hanno annunciato un mondo nuovo,
probabilmente non migliore di questo, ma forse meno monotono..
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