THE
GREAT VALLEY PROJECT
Daniele Girardi
Introduzione
di Luigi Meneghelli
giovedì 3 ottobre 2013
ore
18.30
La
Feltrinelli
via Quattro Spade, 2
37121
Verona
La
galleria La Giarina in collaborazione con ArtVerona e la Feltrinelli,
il 3 ottobre alle ore 18.30 presenta negli spazi della libreria
Feltrinelli di Verona, una nuova installazione di Daniele Girardi
legata al progetto The Great Valley. Introdurrà Luigi
Meneghelli, critico e curatore, collaboratore di Flash Art e
Artribune.
Erin
Mckittrick scrittrice americana che vive in Alaska, laureata in
biologia molecolare, dedicatasi ultimamente all’esperienza
della Wilderness e all’attivismo ambientale, venuta a
conoscenza di questo progetto, sostiene:
“In
questa epoca d’informazioni istantanee è facile pensare
che si possa imparare tutto ciò che c'è da sapere con
un semplice click su un browser web, come una domanda digitata per
telefono.
Ma
siamo in grado di fare di più che consumare conoscenza...
possiamo crearla.
La
creazione di conoscenza comporta andare in profondità;
diventare intimi con un oggetto o un luogo, e non solo vedere, ma
sentire e annusare.
Notando
i minimi dettagli, pur essendo immersi nella grande realtà.
Come
veterana di molte spedizioni in terre selvagge, posso dire che
l'immersione nella natura è costantemente intensa, e ciò
che produce è sempre sorprendente.
The
Great Valley project è un ottimo esempio di "verità
a terra”, esplorazione e arte.”
L’installazione
multimediale presentata “THE GREAT VALLEY PROJECT, Sketch Life
Books”, racconta l’esperienza in corso dell’artista
nella Wilderness creando un dialogo mai interrotto tra uomo e
natura selvaggia.
Ispirato
dalla corrente filosofica trascendentalista americana dei primi
decenni dell’ottocento e suggestionato dai testi
della Nature Writing nasce questo progetto in cui l’esperienza
del vissuto si fonde con il processo esplorativo artistico. Due
differenti modalità esplorative che si confrontano su un
unico territorio ambientale: reale (esperienziale) trascendente
(artistica).
Il
background diventa cosi parte integrante e performativa del percorso;
rielaborato in seguito per cogliere le radici più
profonde e autentiche del lavoro.
La
ricerca di una dimensione dove: natura – confronto –
incognita – spazio e silenzio offrono lo spunto per
riflettere sulla metamorfosi del lavoro per riconquistarne l’origine
e riconciliare la ricerca poetica nel mondo naturale.
Per
info: Tel. 045 8032316
info@lagiarina.it
Biografia
Daniele
Girardi nasce
a Verona nel 1977.
Nel 2000 si trasferisce a Milano e dal 2006
iniziano i soggiorni americani con residenze a New York (ISCP) e a
San Francisco, che lo spingeranno sempre più a viaggiare e ad
interagire con la comunità artistica internazionale.
Negli
ultimi anni i suoi interessi si sono concentrati essenzialmente
sull’immagine come traccia digitale: da qui sono nati vari
nuclei di lavori, tra cui le videopitture, opere in cui disegno,
pittura, immagini e collages digitali, creano un ciclo e un’azione
nel tempo.Le tre videopitture di I Road (2010) proseguono verso
questa direzione, modificando in maniera sostanziale l’impianto
e le modalità tecniche della videopittura stessa, approdando a
risultati straordinari in termini di fusione tra messaggio e
linguaggio (MACRO video from collection).
Dal 2011 la
ricerca si focalizza sull’ installazione e l’
archiviazione degli “Sketch Life Book”.
Le tematiche
dell’artista si concretizzano in forti invasioni dello spazio
come nel progetto I ROAD, in cui l’asfalto copre la superficie
della galleria e in What Remains (2011), installazione site-specific
presentata alla Galleria d'Arte Moderna Palazzo Forti, le cui
sbarre di ferro aggrovigliate con monitor e cavi si ergono dal
pavimento in un’esplosione ibrida.
Attualmente è
impegnato ad intraprende l’ esplorazione dell’area
Wilderness Val Grande come primo step del un nuovo
progetto.
Vive e lavora a Milano.
BETWEEN
HEAVEN AND EARTH
a
cura di Luigi Meneghelli
FLURINA
BADEL
GIANCARLO
LAMONACA
LISSY
PERNTHALER
PERFORMANCE
DI FLURINA BADEL "UNDER
MY SKIN II"
OPENING
26.10.2013 h18.30
COMUNICATO
STAMPA
“Metti
insieme due cose che insieme non sono mai state. E il mondo cambia”.
Così scrive Julian Barnes nel suo ultimo libro “Livelli
di vita”. Ebbene, l’esposizione “Between Heaven and
Earth” (tra cielo e terra) intende combinare proprio due
dimensioni dell’essere e del vedere che non si sono mai
incontrate. Da una parte storie di levità, di aria, di nuvole,
e dall’altra storie di terra, di fatiche, di sangue. Una volta
accostati, questi due stadi, danno vita ad un campo inesplorato di
analogie, simmetrie, contrapposizioni. Lo sguardo è spinto in
contemporanea a intraprendere un viaggio verticale (ascetico) e uno
orizzontale (terrestre), a raggiungere le altezze per cimentarsi,
come Icaro, con lo “spazio degli dei” e a fare i conti
con le cadute più violente, i precipizi, gli sfaceli della
carne. E non si tratta solo di rappresentazioni, di incontri con la
realtà “sotto forma di apparenza e fantasma”, ma
di esperienze vissute in diretta, provate sulla propria pelle.
Già
i corpi nudi di donna che la giovane artista svizzera Flurina
Badel
(Engadina, 1983; vive a Basilea) fotografa come fossero resti
abbandonati in mezzo alla natura, trasmettono un malessere
esistenziale che si evidenzia nella perdita dei loro tratti specifici
e nel loro trasfigurarsi in cose. Ma il discorso si fa ancora più
impellente nella performance che l’artista eseguirà
durante il vernissage (Under
My Skin II).
Come una Penelope dei nostri giorni lei si cucirà addosso un
vestito, quasi a voler suscitare una sensibilità dilatata ed
esternare il piacere o la sofferenza di narrarsi all’altro. E
lo stesso avviene anche con i “fazzoletti” su cui ricama,
con un misto di ironia e intimità, frasi del tipo “I
love you more and more every day”. A contare non è
solo il messaggio, ma soprattutto il rito, non è solo la
scrittura, ma soprattutto il gesto febbrile e maniacale della
tessitura. In un epigramma Hugo von Hofmannsthal scrive “Terribile
è quest’arte! Io filo il filo, estraendolo dal mio corpo
e questo filo è insieme la mia via lungo l’aria”.
Ebbene,
alla tessitura, all’intreccio sembrano paradossalmente rifarsi
anche le foto di Giancarlo
Lamonaca (Cortina
d’Ampezzo 1973; vive a Varna in Alto Adige). Sono immagini di
Nubi,
ma non hanno nulla di realistico: infatti, alla pari di Ghirri egli
non intende “scattare foto, ma costruire immagini”. E,
per farlo, non riprende cieli sereni, versioni celesti dell’Arcadia,
ma prova a portare il cielo in terra, a profanarne la purezza con una
serie infinita di sovrimpressioni, di intrecci intricati e
misteriosi. L’immagine assume allora l’idea di una rete
pericolosa simile a quella del ragno, ordita nell’ombra come
una congiura. Così, con operazioni di taglio, bruciatura,
inabissamento, Lamonaca dà testimonianza non di come si vede,
ma di come si potrebbe vedere. Non mostra vere nubi, ma il modo in
cui noi le pensiamo e le immaginiamo.
E
anche le performance di Lissy
Pernthaler
(Bolzano, 1983; vive tra Berlino e l’Alto Adige), documentate
in still o videoinstallazioni, fanno vedere, toccare, scrivere il
corpo. Il suo è un linguaggio che non è mai purificato,
ma primitivo, violento, fisico. L’obiettivo è
quello di creare un corpo nuovo, aperto verso il mondo e verso gli
altri, un corpo che comunica e con il quale si comunica. Dunque un
gesto d’amore e di donazione. E anche se adopera simbologie
ancestrali, come quelle di inghiottire avidamente cibo, di offrire il
proprio cuore all’umanità, di avviarsi lentamente verso
la morte, a interessarla è sempre il collegamento tra interno
ed esterno, la relazione tra la propria intimità e la vita
sociale. In fondo, ancora una cucitura, un filo che tesse contatti,
legami, unioni.
E la terra e il cielo? Non sono altro
che il risultato dell’intreccio tra gli infiniti spazi della
vita: dalla discesa agli inferi più riposti all’elevazione
verso le immensità più lontane, dall’illusione di
calarsi nei meandri della psiche al sogno di essere sbalzati in una
spazialità sterminata. Ma in un tempo caratterizzato dalla
fine delle grandi narrazioni e dalla frantumazione di ogni progetto,
forse non restano che rammendi, sofferti e vertiginosi tentativi di
ricucire il senso dell’abitare, del presentarsi e del
rivolgersi agli altri: senza dimenticare il coraggioso e
utopico motto di T. S. Eliot: “Con questi frammenti ho
puntellato le mie rovine”. (estratto dal testo di Luigi
Meneghelli)
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