La
Giarina Arte Contemporanea
Via
Interrato dell'acqua morta, 82
Verona,
VR 37129
Italy
info@lagiarina.it
presenta
QUINDICI
PEZZI FACILI
ENRICO BAJ
- ANDREA BIANCONI
CLARA BRASCA - ALESSIA CARGNELLI
- CLAUDIO COSTA
JEAN DUPUY - KEN FRIEDMAN - DANIELE
GIRARDI
DANIELE GIUNTA - MAURICE HENRY - ADOLF
HOFFMEISTER
ALDO MONDINO - OTTO MUEHL
SANTIAGO PICATOSTE
- SILVANO TESSAROLLO
a
cura di Luigi Meneghelli
dal
15 febbraio al 26 aprile 2014
Inaugurazione
sabato 15 febbraio, ore 18.30
“L’arte
è un mélange di vaudeville, di gag, di gioco infantile,
di Spike, Jones e Duchamp”. Così scriveva nei primi anni
‘60 il guru di Fluxus George Maciunas. Certo, una mostra non
può essere un movimento, una sequenza di “opere allo
sbaraglio” non ha nulla a che vedere con le manifestazioni
effimere di quell’ultima, utopica avanguardia che è
stata Fluxus. Eppure alcuni sintomi che attraversano l’intera
esposizione sembrano venire proprio da quel crogiolo inafferrabile di
azioni, riti, lavori iniziati e mai finiti. Già il titolo
“Quindici pezzi facili”, che richiama sfacciatamente il
quasi omonimo film di Bob Rafelson del 1970 (storia di un uomo
braccato dalla vita che cerca e non trova, che fugge e si perde senza
soluzione di continuità), sta a indicare l’obiettivo di
una sorta di deriva visiva che scavalca il limite di ogni spazio e di
ogni figura (quadro, galleria, artista), per farsi manifestazione
effimera, che sparge idee più che soluzioni, processi più
che compimenti.
Ma
pure quel disegno a china dell’illustratore ceco Adolf
Hoffmeister che funziona da “immagine/icona” della
rassegna e che mostra la sagoma di un Kafka spaesato in mezzo ad una
congerie di valigie, borse, bauli, sottolinea che, se un “concept”
c’è, non vuole essere qualcosa di preciso, determinato,
durevole. Non c’è una cronologia, anche se ci sono
autori storici (Enrico Baj, Claudio Costa, Jean Dupuy, Ken Friedman,
Maurice Henry, Aldo Mondino, Otto Muehl); non c’è un
filo conduttore, anche se tutte le opere si pongono sotto il segno
della precarietà, del frammento, della grazia
dell’imperfezione; non c’è neppure la caccia ad
assonanze invisibili, a corrispondenze celate tra repertori del
passato e nuove ricerche (quella di Andrea Bianconi, Clara Brasca,
Alessia Cargnelli, Daniele Girardi, Daniele Giunta, Santiago
Picatoste, Silvano Tessarollo).
Forse
si può individuare una silenziosa dedica al disegno, una
testimonianza di affezione al foglio. In mostra infatti sono in bella
vista appunti rapidi, abbozzi possibili, tracce occasionali,
annotazioni private. Studi preparatori per un’opera a venire o
rielaborazioni e riflessioni su opere già eseguite. Solo che
qui si incontrano anche collage, foto, video. E allora ogni discorso
sull’umiltà del disegno o sulla sua mancanza di qualità,
vanno a farsi benedire. Magari è opportuno riprendere in mano
il remissivo aggettivo del titolo, e cioè “facili”
(inteso nel senso di fragili, inconstituiti, inevoluti). Esso allude
ad un mondo che non ha più (o non ancora) un suo luogo, una
sua definizione, che non può essere circoscritto in un ambito
determinato, che non è più “il luogo della
storia” (almeno di quella con la “S” maiuscola), ma
il luogo di tante piccole storie che si rarefanno o si dissolvono
incessantemente, come è sempre accaduto anche in Fluxus (che
in diversi tempi la Galleria ha indagato da più angoli
critici). Così, alla fine, questa mostra, che pare non avere
una sua specifica identità, ha il volto stesso della galleria:
quello dei suoi sogni e delle sue scommesse.
(dal
testo di Luigi Meneghelli)
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