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ANGELO URBANI

ORME


per gentile concessione degli autori , dal catalogo della mostra pubblichiamo la critica introduttiva di Resy Amaglio ed alcune foto delle opere

TRANSITI


Con una raccolta di opere recenti dal titolo di Orme, visitabile dal 5 al 27 luglio a Villa Thiene di Quinto Vicentino, Angelo Urbani si ripresenta al pubblico a distanza di un triennio dall’esposizione alla chiesa dei S.S. Ambrogio e Bellino di Vicenza, confermandosi una volta ancora autore poliedrico e variamente interessante.
Formatosi alle Accademie di Belle Arti di Venezia e di Brera, Urbani ha perseguito sin dalla giovinezza un progetto espressivo fondato su criteri di matrice poverista-concettuale, rielaborandolo negli anni coerentemente alla propria evoluzione intellettuale e sentimentale. La via che conduce all’arte si identifica nel suo operato con un cammino di conoscenza, lungo il duplice binario dell’esplorazione della realtà esterna e dello scavo interiore, orientato al riconoscimento di sé nell’ambiente circostante quale frammento speculare del più vasto riconoscimento dell’uomo e della sua vicenda esistenziale nel mondo e nel tempo. Urbani interviene sul portato profondo del proprio rapporto con le cose. Consapevole affettivamente del suo esistere in un tempo e in un luogo precisi, vi inscrive la sua appartenenza per mezzo del dialogo costruito giorno per giorno con la vita nascosta della terra, avendo ad interlocutori i numerosi sedimenti di una campagna dimenticata dai rivolgimenti della società, coltivi ormai derelitti, attrezzi inutilizzati, ma anche ciottoli sui letti di ruscelli disseccati, rami e cortecce d’albero nascosti tra l’erba inselvatichita. L’artista intende recuperare questo mondo disertato nei modi dell’emozione estetica, per riallacciare il filo di una storia che è anche la sua, traendone le ragioni fondanti di un personale discorso espressivo. Prende vita così la sua risposta all’istanza fondamentale dell’arte, quella di esprimere la visione interiore attraverso forme esclusive, che superino le inadeguatezze della parola divenendo tramite d’accesso alla dimensione autentica dove tutto è possibile. L’ispirazione nasce dall’indagine condotta sui luoghi della sua stessa quotidianità, in cui reperire insieme ai più svariati oggetti i segni rappresentativi del passaggio umano, le impronte di pazienza e fatica che hanno solcato il terreno, firmato il paesaggio. L’oggetto-segno decontestualizzato, spogliato delle apparenze e riformulato in chiave simbolica, documenta la continuità del legame intenso tra i differenti protagonisti della natura in qualunque suo aspetto e tempo, segmenti tutti di un unico affresco. Gli esiti si leggono nelle sagome filiformi costruite utilizzando forcelle di rami e ripetute nei piccoli bronzi, suggerimenti di un implicito antropomorfismo universale, sulle superfici di grosse pietre basaltiche incise nei grafemi di un codice fantastico, indecifrabile e sottilmente inquietante, o nel tronco scorticato e piantato a terra controluce sulla soglia di casa, quale “memento” totemico della precarietà di ogni transito e insieme invito a procedere oltre. In ambito pittorico, il simbolo evolve in forme di totale astrazione, articolandosi in segni che Urbani ama reiterare impressi da strumenti inconsueti sopra supporti occasionali, cartoni da imballaggio, scampoli di tela grezza, in cromatismi poveri, di pigmenti rappresi, talvolta alleggeriti a macchia da una sorta di chiarore riverberato. Sul filo di riflessioni di carattere filosofico, l’artista si dedica con cura minuziosa ad intessere trame di sapore ancestrale tra le cose “senza qualità,” perché ne emergano le orme archetipe di un tracciato memoriale dotato di valenza estetica. Si snoda così, attraverso strutture segniche gravate da irrinunciabili tensioni identitarie, il suo percorso verso lo spazio proprio dell’arte, al confine tra il reale e l’inconoscibile.

Arche Transiti