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anno 2011




Il segno e il paesaggio   
topografia della dimensione estetica




Sergio Zanone



E' necessario innanzitutto liberarsi dall' idea e dalla presunzione che questo nostro segno possegga il carattere della novità ; in ogni segno si ripete, rivive e si oblia la memoria del “primo” segno.


Il segno è , in origine, un gesto: il suo riflesso.

Nel rendersi manifesto , cela in sè

il carattere intransitivo dell' esist-ente


Il gesto primordiale si trasforma in segno : in un campo confuso di segni sorge una forma, ed essa prende vita nell' oscurità di una ricerca che pare procedere ciecamente, a tastoni. Vi è una voluttà libidica nella sens-azione di toccare, di tastare, di sentire , di grattare, di violare la roccia della parete in una grotta , nel segnare l' argilla morbida che la riveste. Ad Altxerri, paese Basco, si trova la Grotta Maddaleniana ( 15.000 a.C.) famosa per i suoi “campos grabados”, superfici incise “eseguite senza che poi su di esse venisse tracciata alcuna figurazione , incisa o dipinta...succede anche che questi “campos grabados” siano legati a figurazioni preesistenti o successive , talvolta senza alcuna corrispondenza con le medesime, oppure invece che questa tecnica particolare sia stata impiegata per completare quest' ultime, specialmente per quanto riguarda il pelame” (cit. Sacralità, arte e grafia paleolitiche, pag 87, Piero Leonardi, Manfrini Editori). Altre Grotte (Grotta del Gargas, Grotta di Rouffignac, Grotta Pech-Merle , Francia etc.), presentano campiture delle pareti o del soffitto segnate dagli “arabesques macaroniques” o, più semplicemente “macaroni”. Si tratta di segni tracciati preferibilmente con le dita , ma anche, talora, con primitivi arnesi a una o più punte nello spessore di quella coltre argillosa , derivante dalla decomposizione della roccia calcarea, che spesso riveste la parete delle caverne , e che da taluno viene chiamata “latte di monte”...( op. cit. pag 103). Anche qui gli intrichi dei segni possono essere molto complicati, all' apparenza astratti: a volte da queste linee serpentiformi emerge confusamente la silhouette di qualche figura animale o femminile. In questi “campi di segni”, come in uno specchio opaco, si proietta il sorgere della coscienza : traccia della genesi di un pensiero prelogico che inizia a manifestarsi (non è ancora “ il pensiero del pensiero pensiero” di Aristotele, Metaph, 1074 b 35) e che, in quanto azione e-motiva, rivela una potenza creatrice . Il gesto significante , pura energia, nella sua nudità non è ancora segno e , come il suono nel vuoto non può essere udito , così esso ricerca il proprio elemento scendendo nel mondo per compiersi : sacrificandosi, si in-forma alla materia e in questo connubio il gesto de-cade. Origine asessuata della relazione, il gesto si rivela mascolino nell' incidere la superficie che lo accoglie (scaturigine di volontà nella traccia del suo porgersi) e femminino nel rivestirsi della forma del segno che lo realizza (voluttà della traccia che lo riceve) . Il pensiero aurorale si rivela nel gesto e sceglie il suo segno: e-mozione (movimento da verso a: l' e-mozione della nascita). Le tracce sulle pareti delle grotte che formano i “campos grabados” e che noi impropriamente abbiamo denominato “segni” , questi paesaggi primitivi, appartengono all' intimità del gesto poichè ne risplendono dell' energia cinestetica, della “potenza” ( infatti il segno , in quanto attuazione e compimento del gesto, rappresenta la cifra del suo passato nella misura in cui l' energia si è dissolta irreversibilmente nella memoria storica: il gesto muore nel segno se perde la propria energia originaria); i gesti primitivi agiscono come tentativi, conati, demoni (“daimon” nel preciso significato etimologico del termine: il daimon è colui che lacera, è la potenza che , nel momento del suo compiersi, divide : nel nostro caso è l' azione che scinde l' uniformità del substrato sottostante ovverosia il flusso magmatico del pensiero che sulla superficie si proietta dividendo-si e dividendo-la: “solo in quanto è colui che divide, il daimon può anche essere colui che assegna e destina; daiomai significa prima “divido” poi “assegno”; stesso svolgimento semantico in una parola derivata dalla stessa radice: demos, popolo, ma, in origine, divisione di un territorio, parte assegnata” ,Giorgio Agamben, La potenza del pensiero, pag 171 ). “Gesti- segni” , linee , che rappresentano i punti di contatto del pensiero prelogico, attraverso il corpo, con la realtà della materia : veri percorsi della scoperta, vere impronte dell' esperienza. Questi “Gesti-segni” (linee) emettono “campi di senso”, labirinti ove la vista , cercando, si posa formando la forma nella giusta misura.

Ci chiediamo se sia corretto , in questa condizione ancestrale , parlare di una archeologia della dottrina Aristotelica della potenza e dell' atto , ovverosia se possiamo considerare il gesto come il movimento , il dinamismo di una potenza creatrice ancora cieca che diventa atto; ci troviamo in effetti nella situazione limite in cui quella facoltà che Agamben ( analizzando la teoria Aristotelica) denomina “potenza del pensiero”, è in via di autogenesi: in termini freudiani, la libido non ha ancora scelto né il suo oggetto, né la sua meta. Ciò significa che l' energia psico-sessuale intrinseca alla “res cogitans” primitiva non è potenza del secondo genere ( cioè potenza di essere o di essere-non, di fare o di fare-non) , bensì è una potenza di primo genere, probabilmente assai simile alla capacità della mente vergine di un bambino, una tabula rasa in cui ciò che è in gioco è lo spazio di espansione del pensiero piuttosto che l' abilità di una tecnica acquisita. La libertà , a questi livelli, non coincide con una scelta etica , bensì con la volontà di superare il confine mentale già in espansione; essa sorge dalla curiosità , trae linfa dal desiderio di scoprire, si fortifica con lo stupore della prassi mitica e scientifica . La potenza creatrice è una facoltà della mente in grado di elaborare autonomamente le proprie coordinate psicofisiche attraverso una dialettica introiettiva e proiettiva che costituirà il campo specifico dello studio psicologico e psicanalitico, relazionandosi al dato sensibile dell' esperienza che ne costituisce il banco di prova , il “principio freudiano di realtà” . Il gesto che traduce in atto la dimensione psicofisica del pensiero proiettandola sulla superficie esterna opera quindi una mimesi non di oggetti ma di spazi del pensiero. Ma di quali spazi, di quali forme stiamo effettivamente parlando? E' importante qui focalizzare l' attenzione soprattutto sul concetto di ripartizione e di delimitazione del territorio che scaturisce dall' azione daimonica ed ex-clusiva del gesto : quando l' uomo proietta i confini del proprio pensiero prelogico, crea un “campo di senso” attraverso la conquista “fisica” della superficie materica ; in questo stesso istante egli diventa l' artefice del proprio destino. Tutto ciò che sorge e si situa all' interno di questo campo ( in particolare le donne e gli animali che in esso, quasi per magia, si formano) ora gli appartiene; in questo modo , per la prima volta, l' uomo giunge a definire la storia misurandone il tempo passato (nell' immagine della memoria egli esorcizza l' oblio della percezione delle cose ) e direzionando il tempo futuro ( prefigurando gli eventi, egli cercherà di volgerli a proprio favore) . Possiamo immaginare il “campo grabado” ( la superficie pittorica, lo spazio sonoro...) come un libro alquanto anomalo in cui ciò che scorre non sono pagine bensì linee le quali , otticamente refrattarie a fissarsi percettivamente nei particolari mimetici, oscillano e vibrano all' interno dello spazio- pagina, o dello spazio-suono . La caratteristica fondamentale di questi segni è la mutagenesi: ciascuno di essi è una “lettera cangiante, proteiforme” (gramma mobile) , è l' “abito stilistico” di un paesaggio che fonda la propria esistenza nello spirito del Tao, cioè nel connubio di attività e passività e che si manifesta in un equilibrio formale che non è né precostituito né predestinato ma si storicizza nel suo farsi . Così , degli infiniti Universi teoricamente possibili, l' unico Universo che possiamo conoscere è quello di cui siamo coscienti e che possiamo toccare, manipolare, fare: tautologia linguistica, banalità? Questo, forse, è il preciso istante in cui il “senso” del paesaggio può diventare etico: la direzione evolutiva del suo sviluppo, infatti, la possiamo e la dobbiamo proporre noi stessi con la possibilità di mutare ( o di non mutare) il segno: questa è la nostra magnifica, terribile responsabilità. In ciò risiede la “novità” del segno, ovverosia nella capacità di indicare al mondo la via della salvezza o della distruzione: nel linguaggio mistico della Sefer Yesirah ( Il Libro della formazione:VI -VII sec.d.C.) , con la scelta delle lettere dell' alfabeto Y-H-W- H nomina le dieci Sefirot ( le potenze ineffabili dell' Essere , ordinate in coppie, che corrispondono alle “unità di misura” che precedono la creazione ) ; sei di esse sono le dimensioni spaziali ( sopra, sotto, oriente, occidente, settentrione, mezzogiorno : gli assi cartesiani) - due formano la dimensione temporale ( origine, fine) - le ultime due – e questa è la cosa che ci è impossibile comprendere ed accettare – costituiscono la dimensione etica della creazione e sono il bene (ayn, nun, gimel) e il male (nun, gimel, ayn).