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anno 2013




Un velo d_acqua sui miei piedi nudi   







La barca avanzava lieve sul pelo dell' acqua, lo scafo ondeggiante. Profonda e verdeggiante acqua, oscuramente blu verso il centro della valle dalle scoscese ripe. Osservando la vegetazione arrampicata sulle rocce e gli alberi dai rami contorti , ricoperti di fitte foglie ; intrichi di liane pendenti oscillavano riflettendosi , il remo cadenzante sul cielo azzurro, quasi blu, a filo sopra le teste: racchiuso dalle catene dei monti. A ritmo, Vincè davanti ed io dietro, alternativamente, la barca toccò riva dove la valle come utero parve restringersi ad imbuto: un sabbione ciottoloso di erbe selvatiche , infestanti. Vaporava la calura. Poco più su, una baracca di legno forse disabitata : la casa del custode del lago? La casa del custode assente del lago. Aggirammo la nerastra lungo l' erpicante sentiero su, verso la vetta : salita snervante , sudata, esposta al precipizio. Sopra il limite degli alberi il cielo si aprì come un respiro mentre nel folto dell' abisso il lago occhio smeraldo. Avanzando quasi a tentoni lungo il budello roccioso : il sentiero si addossava infatti alla parete verticale, si giunse alla vetta. O meglio , la vista si aprì sul nudo altipiano. Nudo e crudo, con una locanda dalle pareti lisce e sassose piena di giovani che pranzavano allegramente seduti su tavole di rampe di scale in legno distese in senso orizzontale sul pavimento: strane mense. “Mi porti una bionda e un piatto di pasta e fagioli” , dissi alla cameriera. Anche il mio amico ordinò lo stesso. Seduti sui gradini di una scala di sassi , in prossimità ad una finestra aperta che filtrava la luce limpida di un sole invisibile nell' azzurro. Improvvisamente arrivò Dario, il fratello di Vincè e si sedette vicino a noi. Il discorso volse su argomenti generici; infine decidemmo di ritornare a fondovalle per lo stesso sentiero; avanzando per primo seguito da Dario , da Vincè e da altre persone in fila indiana; ben presto però la traccia scomparve. Mi volsi: ero solo, in equilibrio precario sulle orme di un pendio a precipizio cosparso di rocce e massi lisci , nell' impossibilità di avanzare e di retrocedere. Alcune centinaia di metri sotto, sempre l' acqua profondamente verdicante del lago. Vertigine. Cercai di aggrapparmi con disperazione alla parete rocciosa, inutilmente: mi lasciai precipitare nel vuoto , le braccia e le gambe aperte nel tentativo , vano, di opporre resistenza all' aria : come fossi una vela, come anthropos vitruviano. Il parapendio si gonfiò scintillando la vela gialla e bianca : il corpo rallentò ed infine fu avvolto dal silenzio acqueo. Mi liberai delle corde e raggiunsi la superficie , poi proseguii a nuoto sino alla riva sabbiosa dove ritrovai la barca arenata. Seguendo le orme nuovamente verso la baracca disabitata, proseguii oltre oltrepassando la strettoia che segnava lo stretto imbocco della valle: subito dopo il terrapieno si apriva una vasta , glauca pianura liquida ove il cielo pareva fondersi con la superficie, all' orizzonte: poiché il lago , o il fiume, che a monte scompariva nel ritorto invisibile, sfociava nell' infinito mare. Guardando il bianco mare, alla mia destra si innalzava perpendicolarmente per alcune centinaia di metri una liscia parete rocciosa, rigata dai colaticci nerastri delle cianoficee. Scolpita nella viva roccia, la facciata di una chiesa barocca: due grandi colonne ai lati di una porta aperta nel ventre della montagna. Salii la scalinata : volli superare la soglia , entrare nella navata scavata nel ventre. La navata era spoglia: non banchi, non sedie, né quadri né immagini sacre appesi alle pareti e alle teorie delle colonne , non affreschi absidali: come una chiesa valdese . Solo allora mi accorsi che il pavimento marmoreo di pietra screziata da nervature rosacee era cosparso di un sottile velo di acqua cristallina:


l' acqua scorreva ovunque , un velo d' acqua

fresca sui miei piedi nudi.



L' acqua limpida usciva dalla porta della chiesa , scendeva dalla scalinata sino al mare.




Z.S. Novembre 2013