anno 2011 |
L' incontro sull' abisso in "Canti Onirici" di Silvia Comoglio 
Sergio Zanone
All' interno della parola ul-timo c' è un luogo d' ombra , un punto ove origina e muore il vento ; è luogo invisibile alla vista , forse è il regno di Eolo protetto da alte mura. Chi “fu ombra” e ancora torna nel punto ove nasce e muore il vento, “nell' alba -del vento-che già muore? Il mito di Ulisse ci parla del cieco peregrinare ( destino ingrato per un Eroe astuto , famoso per la sua capacità di direzionare il futuro : Ulisse è l' eroe del limite, del confine tra realtà e sogno, tra storia e mito) ; Ulisse ritorna all 'isola dei venti per essersi addormentato, per non aver saputo vegliare --- . Il mondo di Ulisse è quindi il mondo del mito e del sogno : addormentarsi in questo mondo significa svegliarsi alla realtà, ovverosia perdere quelle prerogative che all' interno del sogno ( e del mito) ne determinano la potenza ; ma Ulisse , proprio in quanto essere vivente sul limite, nel pericolo sempre incombente del superamento del limite ( pericolo mortale, se pensiamo ad esempio alla genesi di Roma antica) , pone se stesso come il mediatore con i mortali.
Il tratto in ul-timo è questo luogo cieco, tratto d' ombra ove è preclusa la vista nell' attimo in cui sorge e muore il vento ; ul-timo è il nome del vaso dei venti, ed il tratto ne costituisce il coperchio.
Ul-timo Ul isse
Ultimo ed Ulisse ; è significativo come “Ul”, la sillaba iniziale, coincida: Ulisse è verbalmente in prossimità dell' “ultimo”, è nome liminale ; consideriamo ora la desinenza di ul-timo, separata dal trattino, e cioè “timo”: timo è un ' erba profumata. “Timo”, origine del profumo, profumo come movimento di aria profumata; profumo in quanto profezia: dall' ombra esala il profumo, il profumo è la profezia che esala dall' ombra, il profumo è il Canto onirico dell' ombra che esce ed entra dal luogo liminale.Dal tratto di ul-timo esce il profumo profetico come i vapori estatici della Pizia ( racconta il mito) fuoriuscivano dalla roccia del santuario di Delfi : il tratto di ul-timo è altare di ebbrezza così come il tratto di o-ttimo è altare del consiglio (ébbro fu cercare/ó-ttimi1 consigli):
il tratto è altare: davanti all' altare non è parola ma silenzio, attesa, sospensione. L' altare è coperchio. Pietra di confine tra il mondo dei mortali ed il mondo dei divini, soglia della porta del confine tra il sogno e la realtà.
Circolarità: profezia che si apre e si chiude in se stessa , profezia che origina in quanto profumo dal tratto di ul-timo e ad esso vi ritorna; Ulisse come profezia del ritorno, l' eterno ritorno della parola profetica attraverso il viaggio fugace del sogno profetico, nell' attimo del tuono, in prossimità dell' alba. Alle soglie dell' alba, i poli coincidono nel viaggio dell' attimo profumato; profumo come luogo del ritorno? è poesia del profumo, con trasformazioni ed iterazioni sillabiche nel canto , con dominanza onomatopeica dei morfemi nelle singole sequenze.
Vi è un orto, uno spazio recintato: orto è luogo ove sorge e si coltiva la vita , orto è cultura e coltura; orto è cerebrum, cervello, pensiero, mente. Orto è anche il luogo del sogno , il punto di confine in cui alba e tramonto (alba rovesciata) si toccano. Il tempo si dilata, nel sogno→ Calipso, l'isola del tempo dilatato, l' isola dei gechi.( E' vero che quando i giochi si dilatano diventano gechi ? )I gechi non si muovono: aspettano , attendono , osservano.Il guardare, osservare nel sogno il limite di contatto tra alba e tramonto (nascita del sole e tramonto, origine e fine, ove vita e morte si toccano): voluttà nel toccarsi , nel contatto tra la vita e la morte: è pericoloso?E' pericoloso toccare i gechi? Desiderio del limite è il regno di Calipso, colei che nasconde e si nasconde.( Nell' isola di Calipso, il gioco prediletto è sicuramente il nascondino) .Amanti: il rincorrersi degli amanti: lei che si rivela e si nasconde. Tutto nel tratto di ul-tima. Si attende un incontro , un voi (pluralia maiestatis?); l' incontro degli amanti .Qualcuno sta arrivando:
Chi sta arrivando?
Come profumo?osservare protési in tensione.Un signore, un re sta arrivando.Ul-timo.
Ol mo Ul-tima
consonanza dei prefissi Ol e Ul e consonanza delle desinenze mo e ma ; consonanza è contiguità, presagio della sovrapposizione degli amanti.Olmo è maschile, ul-tima è femminile. In lei c'è un ti, un dono , per te : il suo dono profumato, il Canto nuziale. Il tratto è il letto nuziale, il letto nuziale è l' altare del sacrificio.
á ed ó ; “á” è femminile, è apertura del Canto, stupore; “ó” è maschile. Movimento , fluidità dell' alternarsi vocalico , in controtempo ,dei sessi; il termine del Canto è una fuga , prima vi è infatti l' aria che apre alla fuga.( ritorna il gioco del fuggire e del nascondersi). Movimento acquatico sono le desinenze finali degli ultimi versi: onti, onde, ondi, orni . Acqua scende: sta piovendo, il dilavamento si amplifica, diventa onda (fluviale, marina).
L' incontro tra Voi ed Io: il lungo viaggio ha avuto termine nella lettera s del silenzio (è una lettera ricurva perchè sta riposando....):
(sssssilenzio, non bisogna fare rumore, entrambi ora si è stanchi: lei lo stava aspettando, come Penelope,e il tempo non passava mai : lunga era l' insonnia , paradossale l' ossimoro nel sogno); il ritorno a casa: casa è albero del mondo; albero del mondo è olmo
Almo , olmo, elmo: comincia a configurarsi l' immagine del guerriero. Ombra lucida del mondo è ombra lucida dell' olmo; Olmo è Ulisse, l' ombra della casa onirica, guerriero rivestito delle sue armi, ombra lucida come metallo. Mondo e casa sono vissuti solo a notte , nel sogno. Voi ed io: l' attimo , il limite di un incontro nella circolarità degli eventi (sosta ricurva). E' questa la dimora della coppia, sta nel tempo della dilatazione relativistica degli eventi: il quadro in copertina al libro è infatti il tempo cristallizzato della farfalla focalizzata e il tempo fugace dei segni sfocati e dilatati, incerti. Incontrarsi nella casa solo di notte, a labbra: vi è una superficie sensibile di contatto, epidermica, un bacio sfiorato: incontrarsi , quindi, attraverso il canto di una parola che esce dalle “labbra” e che sfiora solamente a notte , nella dilatazione temporale del sogno. Nel profumo del Canto c' è quindi il dilatarsi del tempo : lucidamente, ombra lucida è anche immagine eidetica del sogno profetico. Casa è genesi del linguaggio nell' incarnazione della parola, attraverso l' acquisizione delle forme empiriche e temporali, quando il pensiero del sogno risale e si trasforma in parola come un soffio, l' aria percepibile attraverso il contatto con la pelle. E' una carezza sulla pelle l' abito d' aria della parola che riveste di stupore l' apparire del mio signore.
L' incontro avviene sull' abisso : órridi di ponti . L' incontro avviene sulla superficie della pagina, ponte sull' abisso.Un ponte attraversa l' abisso della genesi del linguaggio: non si vede il fondo; solo l' aria lambisce e riveste , in quanto canto del vento, le strutture portanti del ponte. Ma il ponte è anche il corpo di lei , e le colonne sono le sue gambe: staticità e dilatazione fisica dell' ente nell' attesa: tutto diventa enorme. Ciò che accade al ponte, quindi , accade anche al corpo, e il vento che risuona attraverso le colonne del ponte è il medesimo che accarezza la pelle di lei. Entrambi avanzano: sul ponte , nel ponte. Sopra il suo corpo, nel suo corpo: il tratto di ul-timo è il ponte dove nella verticalità dell' orrido Voi e Lei si incontrano. Il ponte segna quindi il termine fugace , il confine ove il mito incontra, sfiora il reale. Sta piovviginando: lo sappiamo perchè gli orridi sono appena dilavati. La pelle è detersa da un sottile velo d' acqua: l' incontro sta acquisendo progressivamente fisicità. La sequenza delle immagini si sdoppia, ( orridi di ) come se vi fossero due camere di ripresa , la prima focalizzata sull' incontro della coppia bagnata dalla pioggia , la seconda mentre inquadra il ponte- corpo dilavato : acqua che scende lungo il corpo-ponte, verso il basso, verso l' oscurità di un fondo in cui scorrono le acque? Le gambe di lei sorgono dall' acqua. Dall' oscurità sorge il canto dell' abisso, è il rumore dell' acqua che scorre: silente verso il basso, orrido dal basso. Fusione di suoni: “in controtempo”: sempre le due dimensioni si rincorrono, si intersecano, si sdoppiano, si fondono: il contrappunto della fuga. Attraversare questo ponte, incontrarsi sopra di esso adorni dei nomi acquatici: lo scorrere dei nomi sopra la pelle , variazione del significante sul corpo del reale.Rivestiti dei nomi acquatici, l' antico Ulisse e la contemporanea Penelope , insieme sull' abisso di un ponte (la corporeità dell' io: io-corpo, io-pelle) che unisce le due sponde dell' Io e del Voi : contatto fisico, eleganza, bellezza, voluttà di “adorni” tra le fronde ramificate della sintassi del linguaggio.
lettera “p”: è indicata dalla freccia ;”p” è la lettera iniziale del ponte. Il ponte unisce le terre genuflesse; vi sono due terre genuflesse, in contrapposizione, le cui braccia si incrociano formando un ponte. Il ponte è il limite tra la terra del Voi, la terra del bosco, e la terra di Lei, la terra dell' arnia; la valle è fessura che taglia, divide le terre genuflesse. Il bosco, il Voi, il sesso maschile, la molteplicità estrinseca dei tronchi silenziosi. L' arnia, il Lei , il sesso femminile, la molteplicità intrinseca delle api nel brusio del loro movimento uterino. Terre di boschi e di api, di monti contrapposti, di valli tagliate da fiumi, di ponti che uniscono e dividono le terre. Il momento dell' incontro delle mani che si stringono, la sensibilità superficiale del toccarsi ed in questo il timore di ardere attraverso questo contatto.Cortocircuito: sprigiona scintille, il bosco è vicino, la possibilità del divampare dell' incendio è solo rapido timore : la pioggia si fa più ampia, è il diluvio che spegne l' incendio e lo controlla. Parole d' acqua che lavano gli incendi come abiti di salvezza: emerge da questo incontro la consapevolezza della propria solitudine esistenziale (la luce di sapermi). La solitudine di Penelope e la sua pena prefissata, pura come la luce della luna staticamente sospesa nel cielo nero (Saffo). Dall' incontro emerge quindi la paura di esser abbandonata, di ritornare nuovamente sola , o sole? (Il sole in contrapposizione alla luna).Ecco, al momento dell' incontro si desta anche la consapevolezza del proprio destino di solitudine esistenziale .
lettera “l” : è abisso sotto e abisso sopra; “l” è verticalità, ponte verticale tra i due abissi. Ora non piove più, nel cielo buio risplende la luna ed illumina un elmo in terracotta, la traccia , l' impronta... Ulisse non c'è più , e il suo elmo di terracotta non riflette la luce → luce lunare, luce che conosce la pena del ricordo di un incontro ebbro di baci e di parole : di esso non resta che l' eco dell' incendio, la nostalgia , il crepitio sonoro dei baci appena nati , le Sue parole come i frutti generati tra le fronde del linguaggio. Il ponte che unisce è il medesimo ponte che divide il passato e il presente : del passato restano le tracce , le orme-ombre di terracotta. “la-mine di vuoto/ in limpido fasciarsi”: nell' attimo il cielo limpido copre la terra, lo sposalizio sublima e diventa cosmico; il corpo di Ulisse è ora trascritto in cielo ed è rivestito di stelle: parole del canto che adornano il cielo e , trascendendo, riflettono l' ordine ontologico in ordine logico: il linguaggio storico si trasforma in linguaggio epico. La forma del reale diventa costellazione, simbolo. La parola metamorfica quando riveste la terra è acquatica , quando riveste il cielo è “ la-mina di vuoto”. Il ricordo , la testimonianza dell' evento: l' elmo terrestre che rimane è un “vuoto”involucro, è mero reperto archeologico: si consideri la corrispondenza tra il secondo e terzo verso:
è limpido è in corrispondenza con in limpido lasciare è in corrispondenza con fasciarsi la-mine è in corrispondenza con il tratto – ( ecco perchè troviamo il tratto in la-mine) di vuoto è in corrispondenza con dell' elmo ( di conseguenza l' elmo è vuoto)
la logica poetica è logica del verso, logica della metamorfosi del “significante” che , similmente ad un vuoto contenitore, trova le proprie corrispondenze esclusivamente all' interno di un testo che nasce, si alimenta e si sostiene sulla pagina, solamente se lo si lascia risuonare. Nonostante la “critica”, quindi, oltre ogni “critica”. Tutto scompare: alla fine non resta che il meraviglioso , il sublime crepitio dei baci , la risonanza di un Canto sensibile nello spazio della notte, esattamente ciò che Anonimo del Sublime ( I sec. d.C.) disse nel suo famoso trattato sulla poesia (seconda definizione del Sublime: ”il sublime è la risonanza con una grande anima”).
“Voi” → sono le vo(c)i che provengono dal passato; Ulisse attraverso il ponte ricongiunge passato e presente nel tocco ineffabile della parola , e le sue parole sono le mani del Canto che scaturisce dall' abisso del tempo. Ascolto della parola, mani che si toccano, il contatto è esperienza del sublime. Ulisse , l' eroe del limite, colui che sopravvive alla perdita di tutti i compagni, non è solo: nel ricordo egli riconduce anche tutti coloro che ci hanno preceduto e ci hanno abbandonato per sempre . Ulisse è il Voi, è la molteplicità di Voci del passato.
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“am – an ; om – on” : mantrico; è preghiera, è domanda . Luogo delle ombre, luogo dei viventi, genuflessi a ponte a mani giunte; cosa chiede Penelope alle voci del passato, mentre alza lo sguardo verso il cielo stellato ? ora che il suo sogno si è trasformato in nostalgia. Ancora non scorge il futuro, sono ciechi i suoi occhi-olmi che riflettono l' oscurità della notte. Quale casa, quale mensa? L' Occhio- Olmo, la casa del linguaggio, cresce verso il sentimento , dentro il sentimento oltre il sentimento:
Dammi:
le radici del mio passato , la possibilità di incontrare i segni , le tracce della Storia (quanto/ ancora accade, quanto si trasforma/ da sogno – a nostalgia)
il tempo di capire , la capacità di comprendere ciò che i segni raccontano, prima di scomparire per sempre ( il tempo di parlarmi / in questa sola impronta – di álbero svanito)
la forza della rimembranza (Leopardi) ovverosia della parola in quanto suono cosmico del dolore , la sua capacità di raccogliere e di conservare il nome delle cose ( fórza – di crescere nel cielo/ lúcido a sudario, sbiancándomi nel pianto/di ómbre - senza nome)
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lettere “r ed s” : è risposta ; r rutilante, s sibilante. Nel Canto , l' incánto : ritorna il ritornello della lirica introduttiva, in controtempo! “:→” è sagitta sibilante ovvero “si”: fu ómbra :→come , “fu ombra si come” (Ei fu. Siccome immobile,/dato il mortal sospiro,/stette la spoglia immemore/orba di tanto spiro...) ; s l' attimo di r ; “s” è l' attimo del tuono ; “s” è la parola orizzontale , è la freccia che centra ; “s” , la linearità del Canto, involse nel contenitore-urna, si piegò nella parete di una b(r)occa che è dire - duro e rivoltato, roboante,” ereditato, leggermente” (e scioglie all' urna un cantico/che forse non morrà). Incontro-tempo, è tempo di tornare ancora – all' úl-timo paese, nell' alba – del vento- che già muore: vénni all' isola dei vi-venti. L' ócchio è incerto, il tornare è cieco , del vento- che già muore, come estasi che muore. L' elmo di terracotta si è rovesciato e il vento movimento sibilo di un tempo è rientrato nel suo ri-gido contenitore.
Cosa sta succedendo ora?
Liricamente ci saremmo forse aspettati una risposta “amorosa” da parte di Ulisse , tuttavia questo non avviene: l' estasi si trasforma improvvisamente in spavento! Vi sono molteplici livelli sovrapposti nell' interpretazione del seguente passo, che si risolvono nel ri-gido spavento; Ul-timo diventa ri-gido: le due parole appartengono alla stessa categoria, hanno lo stesso numero di lettere, il tratto nella medesima posizione; possiamo notare come l' “istanza paradossale” (timo) trasformi a) il movimento estatico di espansione in contrazione , b) la sensibilità d' animo in rigidità c) la lucentezza in scabrosità d) l' ebbrezza amorosa in frigidità.
a) primo livello, sonoro: il soggetto è il Testo. L' atomosfera cambia improvvisamente e radicalmente, ce lo predice la stessa sonorità (la profezia del suono “in sé” ) che da fluida (l, mantra) si trasforma in sorda , roca : si verifica una contrazione e un irrigidimento del verso.
b) secondo livello , mitologico: il soggetto è Ulisse. La vicenda dell' Odissea viene riproposta dalla Comoglio in modo speculare al mito , cioè viene ereditata leggermente: essa rielabora il ritorno dell' eroe ad Itaca , quando Ulisse si finse cieco per sterminare i Proci (” il cieco/tornare ancora – all' úl-timo paese”) ; Ulisse, con la sua freccia sibilante e precisa , colpì senza pietà il :→cuore ( :→come) dei suoi nemici. Senza pietà , cioè con inflessibilità , con ri-gidità d' animo2, il vento del tuono genera lo spavento.
c) terzo livello, storico: il soggetto è l' Elmo. Ciò che rimane percepibile al tatto, mero reperto archeologico , è l' elmo rovesciato, l' elmo di terracotta che diventa una brocca , cioè un contenitore rigido, in contrapposizione alla sublimazione cosmica precedente. Ciò ci suggerisce anche l' idea dell' urna cineraria o del sepolcro , legata all' idea della presenza della morte nella sua spaventosa ed orizzontale rigidità corporea .
d)quarto livello , psicologico: il soggetto è Penelope. Ulisse genera lo spavento, e nel momento stesso in cui ciò accade anche l' ebbrezza di Penelope muta in frigidità. E' questo un presagio che si concretizzerà , come vedremo, nella lirica successiva.
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vedi voce: differente3 lettera “ f ”: è il suono frusciante del vento, o del disco “incantato”; se prima era l' “incanto”, ora vi è il “disincanto; la visione stessa del paesaggio, dalla sommità del ponte , è completamente cambiata, “ differente”; rimane solamente il verso crepitante che si sposta come una “fiévole tua eco” nell' aria , ovverosia sulle pagine del libro, rónda notturna che continua a comportarsi come l' “istanza paradossale deleuziana ” (tarlare, provocare buchi, fori: si veda la funzione della “crepa” in Deleuze) : tali parole , non a caso, sono scritte in caratteri minuti e poste al di sopra della poesia. Flash forward: è cambiata la scena : la telecamera inquadra ora Penelope che si è improvvisamente svegliata e che forse si è ritrovata rigidamente seduta sul letto, gli occhi sbarrati dall' angoscia: è forse stato tutto un sogno? In questa differenza il respiro di Ulisse , nel sonno, non è leggero come una eco ma è pesante ( il peso – e il tuo dormire) : Penelope invece non riesce ad addormentarsi, i suoi occhi guardano i fasci di luce che filtrano attraverso le persiane e si stampano sulle pareti della stanza (sghembi – fásci - della luce): il vago sogno (Leopardi, Vaghe stelle dell' orsa...) non è la realtà della vita. Sta sopraggiungendo l' alba: dalla sommità del ponte i primi raggi del sole che filtrano tra le creste dei monti illuminano i tronchi degli alberi lungo le pendici delle valli e lasciano intravvedere anche il fondo non più oscuro dell' abisso : l' albero è ora abbarbicato al suolo, nell' ombra 3. 5
... è il ritmo del canto che precipita, tutto d' un fiato: dalla “e” all' “alba”non vi sono più soste, non più tratti ( poiché i tratti nel réfolo-che-venne legano le parole e sono il fiato d' espirazione di colui che sta dormendo... oppressione di colei che , ancora insonne, è costretta all' ascolto... nel témpo – che si sbalza); ma questo respiro pesante di Ulisse (ce lo indica la freccia) apre ora il sorgere del sole, poiché l' alba appare velocemente , come nuda porta , e il tempo pare fermarsi nell' abbacinante solarità dove gli Esseri sprofondano e finalmente rinascono, alla deriva ( Heidegger, la “gettatezza” delle cose) :
l' alba
nel cui fuoco / davvero ci fermammo La sosta nell' alba si trova alla metà della poesia: si potrebbe anche sovrapporle, per allungare il suono, il segno musicale della corona del Re folle (ré folo) , poiché álba è una parola acrofonica e acrocratica, sostanzialmente maschile.( Alfred Kallir,”Segno e Disegno/Psicogenesi dell' alfabeto”).La vocale finale dell' alba risuona in ecolalia con la “a” iniziale di acúta (Anonimo del Sublime). Si notino gli accenti verbali (alcuni anche segnalati) delle parole iniziali dei primi 4 versi, il cui movimento parte in levare (velocizzando l' azione) e cade nel battere sull' accento delle parole: “e il ré” ( praticamente “e i” è un dittongo) , “a piá” , “fu sé”, “coró”. Il réfolo-che-venne ora non è più fiévole tua eco, eppure i due versi si riferiscono sempre alla stessa persona trasfigurata, il vento ( che allo stesso tempo è figura di libertà e di follia, e di cui permane solamente il ricordo : fievole tua eco) che diventa refolo. Nel procedere del canto verso l' alba, infatti, il vento si trasforma , degenera, si «decompone in corpo» ( l' albero stesso è testimone e specchio di questa trasformazione), diventa terra (núda – térra - a meraviglia), brocca di coccio:
Nell' alba – del vento – che già muore l' albero che disse : è l'aria alto suppose il mio signore/l' albero a sintassi sibilo di un tempo... rigido a spavento l' albero di sera/appena accantucciato... → e il réfolo-che-venne a pianta spaventosa l' álba/ -acúta- della foglia di tutte/ le sue grida,un vento – scucito – tra le foglie
Possiamo quindi percepire come , nello svolgersi del canto, l' archetipo sessuale4 si incarni nella finitezza del mondo ( la nudità ) e, ciò è meraviglioso, proprio in virtù della conversione del simbolo maschile nel simbolo femminile, allorquando il vento ritorna alla terra, alla città di Eolo ( circondata da alte mura, è forse la corona turrita di Demetra?), allorquando il vento rientra nel grembo che lo custodisce ( la brocca) . L' alba non è la terra ma è quell' istante che , raccogliendo tutto in sé , come la soglia di una porta ( il fondo-più duro- della pietra), precede la terra ( il réfolo-che-venne.. fu sémpre... l' álba): l' alba è la soglia della porta della rinascita. Se consideriamo anche il verso “l' alba rovesciata nell' ul-tima parola” , possiamo anche notare che alba rovesciata è anagramma inverso di abla → “hablar” , parlare in lingua spagnola, ed è una parola molto particolare, al limite tra ciò che è maschile( l' origine genetica della lettera A ) e ciò che è femminile ( l' origine genetica della lettera B), vera e propria “soglia” fonetica e sessuale ( quindi non solamente soglia del giorno). Alfred Kallir a pag 159 del suo libro dice: “Caratteristica... frequente è l' abbinamento dei suoni b e l , spesso uniti alla a, in particolare quando le parole che ne risultano denotano concetti attinenti al parlare... troviamo nella parola spagnola hablar... il più bell' esempio di concentrazione di tutti quegli elementi primari del linguaggio da noi messi in luce. In maniera tipicamente acrocratica essa combina le prime quattro espressioni vocali del bambino: il suono di espirazione forte, il suono di espirazione lene, la vocale a, iniziale delle parole che indicano il respiro in tedesco, in greco, in italiano(alito), e le prime consonanti dell' infante b e l.” Fermarsi nell' alba come in una soglia significa compiere un atto di fede per lasciarsi andare alla deriva nel Linguaggio, rinascere alla parola che svela ( corolle) e che cela ( ombre).
Comunione o solitudine?
La comunione degli Esseri si apre all' immensità, alla comune insonnia (d' amore?), diventa aria (zefiro?) della parola carica di meraviglia... (álto suppose il mio signore/l'álbero a sintassi/di ógni- lunga insonnia,/l'álbero che disse : è l'ária/che veste di stupore)
La solitudine esistenziale dei medesimi Esseri sprofonda nell' asimmetria ontologica , diventa angoscia di Lei e insensibile sonno di Lui( l' álbero di sera / appena accantucciato / il peso – e il tuo dormire/e il réfolo-che-venne /a pianta spaventosa)
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sono come sussurri le poesie sul lato sinistro delle pagine racchiuse all' interno delle parentesi-pareti di una stanza, con i caratteri del testo più piccoli di quelli del Canto : è questo il luogo notturno del silenzio e del riposo ove risuona il Canto della parola-ombra senza nome. Anche l' imperativo categorico “táci” appare quasi attutito , come un amorevole invito al silenzio. Attraverso la fessura dell' uscio [] scostato dal refolo di vento penetrano i raggi della parola assolata che ribaciano quésta stessa fronte , ma solo per un istante! .Continuamente ed eternamente i raggi del Sole ribaciano la fronte della Luna , per sempre fugacemente , in controtempo, nel tempo che si sbalza : Canto ed epopea mitica degli amanti destinati ad incontrarsi solamente nell' attimo ( l' attimo del tuo “no” ovverosia del furore dell' intima menzogna ) : il ciclo senza sosta dei corpi cosmici sulla volta arcuata del cielo-casa , la stanchezza delle cose,( → siamo stanchi – voi ed io - sosta ricurva dentro casa), il timore di essere distrutta dalla potenza della luce del Sole (gli ócchi, aggiogati,cóme – puri capri/:→ poi – fu solo – rápido timore /di ardere per spazi) , il tramonto del Sole (l' álbero di sera/ appena accantucciato déntro la montagna), la nostalgia dell' incontro ( quanto si trasforma da sogno a nostalgia) e la consapevolezza del proprio destino di Luna solitaria:
Allegoria del moto degli astri e del canto delle sfere celesti, canto del mito della morte e della rinascita: Ulisse e Penelope, Sole e Luna, Orfeo ed Euridice sono le polarità nostalgiche e solitarie della scissione e frammentazione nel molteplice, destinate ad abitare una dimora straniera in una terra di caduta e di espiazione ; vi è posto qui il problema filosofico fondamentale dell' “Essere del pensiero” attraverso l' analisi del “ gruppo linguistico riflessivo indoeuropeo “* se” , del suo significato semantico (= ciò che è proprio) contenente “ tanto la relazione che unisce ( nel senso di costume, abitudine, dimora abituale che è proprio di un gruppo) quanto quella che separa (ciò che sta a sé, separato, da parte, “sola luna” )” (Agamben). In questa dimora (ethos) è possibile riunirsi nell' Unità della coppia solamente nel silenzio di pensiero e parola (taci) poiché , nel momento stesso in cui l' “Essere del pensiero” Aristotelico (è il pensiero del pensiero pensiero: Aristotele, Metaph, 1074 b 35) , il “Verbo” Giovanneo, il “Pensiero Assoluto”(nell' accezione di sciolto da ogni vincolo o relazione, irrelato) Hegeliano, “riflette” se stesso (la luce di sapermi) e diventa autocoscienza incarnandosi nel reale ( cioè quando il vento scende e diventa terra) , in questo stesso momento, irrimediabilmente cadendo nel ciclo tautologico dell' autoreferenzialità, si scinde nel molteplice e si relaziona alle cose trasformandosi in “sostanza pensante” ( res cogitans) , si storicizza (Hegel) declinandosi nei modi e nelle proposizioni del discorso . Questa caduta della parola, questa “ scissione interna della parola in tema e desinenze che è carattere fondamentale delle lingue indoeuropee” , è sentita non solo nella tradizione occidentale ( soprattutto religiosa) come una vera e propria colpa originaria ( che prende forma, ad esempio, nel “mito” di Babele) e deve essere espiata in parole ( l' esposizione/espiazione della parola poetica in Paul Celan , il Canto di Orfeo, la Confessione Cattolica) ed in opere ( il sacrificio sull' altare) , affinchè possa un giorno, finalmente, estinguersi quella pena (pena- prefissata,pura) di non sentirsi più a casa propria ( Heidegger). Come Orfeo , nel mito, espia l' originaria separazione da Euridice con la lacerazione del proprio corpo e del suo canto prima di assurgere al cielo nella Costellazione della Lira, così Ulisse, in questa lirica di Canti Onirici, si dissolve in fievole eco prima di salire al cielo: ora , forse, tra la Costellazione del Sagittario e del Capricorno c' è una nuova stella ( il vago sogno , così simile alle “vaghe stelle dell' Orsa” Leopardiane ; il Sagittario è il centauro nell' atto di scoccare una freccia, la poesia n 6 termina con “puri capri”, come se la Costellazione del Capricorno si stesse riflettendo sugli occhi di Penelope). Il Capricorno5 pur essendo un segno di terra è raffigurato come un capro con una coda di pesce: è quindi una creatura anfibia, parzialmente acquatica e ,come le creature acquatiche della mitologia, possiede in parte la dote della metamorfosi; circa 2500 anni fa il Sole raggiungeva la sua massima declinazione a sud dell' equatore in corrispondenza dell' omonimo tropico del Capricorno (solstizio d' inverno, c.ca il 22 dicembre) . Attualmente il solstizio di inverno , per effetto della precessione degli equinozi, si è spostato in corrispondenza della costellazione del Sagittario: poiché dopo il solstizio d' inverno le giornate cominciano nuovamente ad allungarsi , ciò è stato posto in intima correlazione , dai miti e dalle religioni dei popoli, con la rinascita della vita ( ma sarà vero oppure è solo una menzogna?) . Abbiamo accenato prima al sacrificio : il capro rappresenta l' animale , aggiogato e quindi reso ubbidiente ,del sacrificio e dell' espiazione ( il capro espiatorio) ed è destinato , quindi, alla lacerazione; esso deve il suo nome alla radice indoeuropea kphr che significa “espiare” . In questa dimora della poesia [] che abita il limite tra la dimora dell ' “Essere del pensiero” e la “Dimora della parola decaduta”, Ulisse esiste ancora nell' istante della duplicità dei segni zodiacali ( molteplicità che si sta condensando) ; la duplicità è ribadita anche dalla presenza della coppia degli occhi.Tutto ci sta riconducendo in controtempo all' origine del pensiero e alla rinascita della parola.
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are, ore, ori, eri... ritorna l' eco aleggiante sopra le acque del mare, come un angelo : reiterazione della rima saldo con saldo, mare con amare . E' l' angelo , il verso crepitante , profumato ed inafferrabile, disperso nei versi del primo canto 1:I che riecheggia ( voi ed io da sémpre attraversammo /avvolti – di nomi tra le fronde /“di móndi – adorni - tra le fronde []) sopra le onde del mare , sopra le onde dell' amore , ove la neve è nave e la nave è neve, nell' odissea della deriva della nave sulla superficie del mare; siamo oramai giunti alla fine del Poema e all' orizzonte , meraviglia!, compare la terra. Vi è un movimento orizzontale sulla superficie della deriva e ,in controtempo, vi è la sovrapposizione del movimento verticale di discesa dell' acqua ( come un rivolo, non come un diluvio) dalla neve che si sta sciogliendo ( scégliersi è sciogliersi ) sulla vetta dei monti ( la poesia n 6, infatti , ci ha portato la bella stagione , il disgelo delle nevi) .” álto suppose il mio signore /l'álbero a sintassi” : poiché ciò che è posto in alto , sulla vetta dei monti, è l'álbero a sintassi , ne consegue che la neve è una metafora dell' “álbero a sintassi “ (la grammatica e la sintassi, ovverosia il linguaggio in quanto prassi e regola vincolante la libertà espressiva ed espositiva del verso poetico) che sciogliendosi ( a neve trascinato sta per “nato da e attraverso la neve”, ab e trans ) diventa poesia (rívolo di voci) .
Solo alla fine del canto, dopo questa lunga attesa, si scioglie l' oscura profezia iniziale:
Siamo finalmente arrivati alla meta? No, c' è sempre qualcosa che sfugge all' interpretazione e che salva la Poesia, qualcosa che, nell' atto stesso del disvelamento, cela la più intima verità, stravolge il senso e ci riconduce all' inizio aprendo la strada a nuovi percorsi, all' infinito...; è l' “angelo”, il “verso crepitante” , l' inafferabile aroma del “timo” , che ti dice : ascolta....
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Z.S. 30/12/2010
1E' doveroso rilevare la parentela fonica e segnica intercorrente tra Ul-timo e o-ttimi : entrambi i termini si pongono in correlazione alla pietra d' altare attraverso il tratto , e noi sappiamo come l' altare sia luogo di profezia e luogo di sacrificio in riferimento al titolo della lirica introduttiva dei Canti Onirici che è “In luogo di profezia”; in è “stare dentro”, e il tratto si trova “dentro” alle parole : il tratto è quindi il luogo di profezia . “Ottimi” è stato scomposto in “ó-ttimi” e non in “ ót-timi”: evidentemente la poetessa esige con questa scelta evidenziare nel “tratto” la nuova valenza semanticamente differente dall' usuale trattino del caporiga; sarebbe utile indagare perchè ciò non accada nel termine “attimo”, presente sempre nella sopraddetta lirica in “attimo del tuono”: si potrebbe ipotizzare che úl-timo ed ó-ttimi, come dei fratelli, si collochino nel medesimo tempo e nel medesimo luogo , a differenza di áttimo che li precede senza poterli incrociare. L' attimo è per natura fuggente, in esso non vi può essere sospensione. Le parole di questa lirica sembrano comportarsi come dei veri e propri personaggi , “caratteri” che si muovono nel testo come in un paese ( l' ú-ltimo paese? : il “Teatrino della scrittura” , direbbe Bertollo) : ciascuno è dotato di una propria ed autonoma personalità : anche gli accenti letterari segnalano il temperamento specifico di ciascuna parola, che potrebbe così sembrare simpatica, antipatica, indifferente, arrabbiata etc. Sulla superficie della pagina , quindi, ciò che nel profondo si sviluppa nei modi lirici e tragici (tipici dell' Ode , dell' Epica e della Tragedia) tende a trasformarsi in commedia e in farsa : in altre parole se nel profondo agiscono Omero, Eschilo, Saffo e tutti i poeti dell' antica Grecia che fondano sul pathos la propria parola, sulla superficie i caratteri recitano invece nella leggerezza ,alla maniera di Aristofane e di Teocrito. Non solo: dobbiamo anche rilevare l' assonanza tra la desinenza “timo” ed il termine greco “Thymos”: il “Thymos” , afferma Eric.R. Dodds ( “I Greci e l' irrazionale”, ed. BUR, pag 57), “può definirsi , approssimativamente e in generale, l' organo del sentimento ..dice all'uomo quando deve mangiare, bere o uccidere un nemico; lo consiglia sulle azioni da compiere, gli suggerisce le parole ... L' uomo fa conversazione con il suo Thymos, col suo “cuore” , con il suo “ventre”, quasi fosse un' altro uomo...Ma l' uomo omerico tende a non sentire il thymos come parte dell' io: abitualmente il thymos compare come voce interiore indipendente.” Questo “timo” quindi, attaccandosi alle parole all' interno dei testi poetici di Silvia Comoglio , assume la valenza del suggeritore, ed in un certo senso , spostandosi tra ciò che vive nella profondità (il Pathos) e ciò che si rivela graficamente ed oralmente ( il significante segnico e verbale ) , pare incarnare quelle caratteristiche fantasmatiche che Deleuze attribuisce all' istanza paradossale (Deleuze, “Logica del senso”) , in grado di spostarsi continuamente tra la serie superficiale oggettiva della proposizione ( che nel nostro caso appare quindi sovradeterminata, esuberante di senso ) e la serie profonda degli oggetti della realtà ( dei corpi e dei sentimenti, che nel nostro caso è sottodeterminata, carente di senso). Questo elemento paradossale è il mago che trasforma le parole e può mutare , ad esempio, i giochi in gechi: esso non rinvia ad altro senso , è esterno alle due serie, è non- senso nella sua essenza: come Giano, possiede due facce bifronti. C' è inoltra da rilevare la metafora dell' olmo in quanto tutore della vite che ci introduce nell' unione dionisiaca dei sessi attraverso la coppia simbolica Lui ( Olmo= “tutore”= Dioniso) - Lei ( Vite= Ebbrezza=Baccante) , ovverosia in una poetica intimamente lirica; al proposito, voglio citare i due versi iniziali delle Georgiche di Virgilio , “ uno dei poeti più lirici che siano esistiti” afferma Antonio La Penna nel suo saggio introduttivo all' edizione BUR , trad. di Luca Canali, in cui subito compare proprio l' immagine dell' olmo unito alla vite: “Quid faciat laetas segetes, quo sidere terram/vertere, Maecenas, ulmisque adiungere vitis” (Che cosa fecondi le messi, sotto quale stella/convenga arare la terra, o Mecenate, unire agli olmi le viti)... fecondità e sessualità , quindi , che ritroveremo anche nella lirica della Comoglio. 2Nelle Georgiche di Virgilio l' Olmo compare per la seconda volta nei versi 169-170 del primo libro: “Continuo in silvis magna vi flexa domatur/ in burim et curvi formam accipit ulmus aratri” (Presto si doma con grande forza nelle selve e si piega un olmo in foggia di bure, e si foggia in ricurvo aratro) ; si può notare quindi come per Virgilio l' olmo assuma , forse inconsciamente , la duplice valenza di un simbolo archetipico ambivalente: esso è contemporaneamente tenera sessualità e rigida fermezza. Abbiamo già notato come nella nota 1 l' olmo si accompagni alla vite fungendone da tutore , suggerendo così attraverso questa metafora l' immagine di un amplesso amoroso tra la femminile vite e l' olmo stesso , tenero e fedele amante sul quale fare sicuro affidamento per costruire il futuro della famiglia. In questi versi la compattezza legnosa lo rende anche adatto alla costruzione del corpo dell' aratro sul quale vengono innestati poi gli altri organi ( manico, vomere etc) : l' olmo si comporta nuovamente da “tutore sociale” grazie alla rigidità e durezza del suo legno. Non possiamo però dimenticare che , in una civiltà agreste, l' aratura del campo che rivolta le zolle è sovente assimilata all' atto sessuale , al coito: vi è quindi una intrinseca difficoltà al tentativo di conciliare la tenerezza (sentimentale) e la rigidità (dell' atto sessuale, della pratica) all' interno del medesimo soggetto, e questo sovente degenera nella schizofrenia del conflitto: “vénni a costruirmi/in questa sola brocca: incánto/ -duro e rivoltato”. Dall' analisi dei versi conclusivi del primo libro delle Georgiche: (vv. 506 – 508) “non ullus aratro/ dignus honos; squalent abductis arva colonis/ et curvae rigidum falces conflantur in ensem” ( nessun onore è più riserbato all' aratro; rapiti i coloni, squallore nei campi , e curve falci sono forgiate in rigide spade) , possiamo notare la simmetria dei processi psichici dei due poeti. L' olmo è presenza costante anche nel secondo libro delle Georgiche , dove ricompare in tutta la sua rigogliosa esuberanza , e sempre in prossimità di “Bacco”( Bacco , nell' appellativo anche di Leneo al v.so 4 , cioè dio dei “tini”: assai simile ai tini timi, timo, o-ttimo...) ; vv. 2 “nunc te, Bacche, canam nec non silvestria tecum/virgulta” (ora canterò te, o Bacco, e con te i virgulti) – vv 17,18 “Pullulat ab radice aliis densissima silva/ ut cerasis ulmisque” (Ad altri dalla radice pullulano, foltissimi, i loro germogli/ come ai ciliegi e agli olmi); v.so 221 “illa tibi laetis intexet vitibus ulmos “ ( t' intreccerà le ridenti viti ai tronchi degli olmi) - vv 360 -365 “viribus eniti quarum et contemnere ventos / adsuescant summasque sequi tabulata per ulmos ...ipsa acies nondum falcis temptanda, sed uncis/ carpendae manibus frondes interque legendae” ( poggiando sulla cui forza le viti s' abituino a resistere/al vento e a seguire i ripiani fino alla cima degli olmi...non si deve ancora toccare con il filo della falce, ma le fronde si devono trascegliere e spiccare con dita adunche” - vv 406,407 “rusticus et curvo Saturni dente relictam/ persequitur vitem attondens fingitque putando” ( con il curvo dente di Saturno tosa intorno/ la vite abbandonata e potando le dà forma)- v.so 446 “Viminibus salices fecundae , frondibus ulmi” (Fecondi di vimini i salici, gli olmi di fronde) – vv. 529,531 “te libans, Lenaee, vocat pecorisque magistris/ velocis iaculi certamina ponit in ulmo,/ corporaque agresti nudant praedura palaestra.” (te invoca, libando, Bacco, pone ai pastori/ il bersaglio su un olmo per la gara della veloce freccia,/ e quelli denudano le dure membra nell' agreste palestra). Ritengo importante evidenziare la presenza dello strumento di Saturno ( Kronos) , il falcetto ricurvo, il curvo dente del potatore , >il quale non deve intervenire sui fragili germogli della vite; il regno di Saturno nella mitologia corrisponde all' età dell' oro, in contrapposizione all' età del ferro ( o della guerra, il dominio di Giove – Zeus) : Saturno , dio della formazione delle cose , fu scacciato dall' Olimpo da Giove; il mito lo vuole rifugiato in Italia ove insegnò alle popolazioni le arti pacifiche della coltivazione della terra. Anche Virgilio pone quindi in correlazione , (attraverso questa successione di versi costruiti sui termini della vite, di Bacco, dell' olmo, della falce , della freccia, della gara ( certamen= gara poetica) ), la coltivazione della vite ( la sua “formazione”) con la delicatezza necessaria alla costruzione del verso poetico, fondandone addirittura la genesi in un tempo anteriore all' azione stessa di Kronos (... non si deve ancora toccare con il filo della falce...) , tempo in cui le cose ancora non possedevano un nome : da ciò si deduce la fondamentale azione della poesia nella nascita del linguaggio e del pensiero nelle sue molteplici forme. Anche nel secondo libro delle Georgiche si verifica quindi la mutazione di ciò che è curvo, flessibile, in ciò che è rigido e duro ( t' intreccerà le ridenti viti >→ le dure membra nell' agreste palestra ): è forse questo il presagio della degenerazione della poesia, la sua “deriva”? La tendenza all' imbarbarimento dei costumi ? E' questa forse anche la profezia nascosta di Silvia Comoglio, poichè non è forse vero che, dopo la differenza, troviamo ribadita più volte la nudità ( questa nuda porta... la nuda- terra) ? .Riassumendo in una unica frase tutto ciò che per Virgilio è stato elaborato, La vite e l' olmo sono cultura, ovverosia l' uomo è ciò che mangia e ciò che beve.( tesi , questa , sostenuta duemila anni dopo Virgilio anche dall' antropologo Levy Strauss nel suo saggio intitolato “Le origini delle buone maniere a tavola”; sarei anche tentato , a questo punto , di correlare a questo principio la singolare simpatia dimostrata verso il poeta latino da parte degli eruditi cristiani , e soprattutto di Dante Alighieri, che altrimenti non si spiegherebbe dal punto di vista etico dal momento che Virgilio fu probabilmente omosessuale) . La controprova? La troviamo nel terzo libro delle Georgiche, versi 375-382, quando Virgilio parla dei popoli nordici, barbari:” In scavate spelonche trascorrono ozi sicuri,/sotto la terra profonda, e rotolano al focolare querce/ ammucchiate, e olmi interi, e li dànno alle fiamme.(ciò equivale ad ardere la cultura;analogamente , in Silvia Comoglio: l' alba -acuta- della foglia /nel cui fuoco/davvero ci fermammo,/ nascendo- alla deriva) /Qui trascorrono la notte nel gioco, e allegri imitano/ la bevanda delle vigne con quelle di orzo fermentato e acide sorbe ( Che schifezza!, sottointende Virgilio)/Tale la selvaggia stirpe d' uomini che sottoposta/all' Orsa iperborea è percossa dall' Euro rifeo/ e copre le membra con fulve setole di bestie “ ( In questo caso , l' abito fa il monaco). Finalmente siamo in grado di comprendere anche il senso nascosto della domanda di Silvia Comoglio :”dove vado - io a mangiare /se ancora sono ciechi /gli olmi – del mio sogno?” che si rivela essere la profetica affermazione della deriva culturale della contemporaneità.
3“Differente” è un termine che si stacca dalla narrazione , assumendo un carattere autoriflessivo e metapoetico; esso ci accompagna all' interno della pratica linguistica della Comoglio che, ricordiamo, è intimamente pervasa e dipendente dal flusso temporale degli eventi ( come precisa la stessa autrice nella legenda in calce al libro in relazione al significato del segno →). Vorrei qui ricordare il significato della “differenza” con le parole di Carmine Di Martino ( saggio “Il medium e le pratiche” ,edizioni Jaka Book 1998 , in cui l' autore espone ed analizza la genealogia delle pratiche umane in generale e della pratica alfabetica in particolare , discutendo approfonditamente tesi di linguisti e filosofi contemporanei quali Merleau-Ponty, MCLuhan ,C.Sini etc:”... perchè una differenza è tale solo in rapporto ad una continuità...E, reciprocamente, senza il prodursi di una differenza nella continuità, non apparirebbe affatto quel passato, quell' inizio...Per far questione del (proprio) passato , bisogna quindi stare in una differenza da esso avendolo in sé: porre una questione genealogica significa stare consapevolmente nella propria differenza dall' inizio, in quanto provenienti da esso...La continuità-differenza è allo stesso modo la condizione di ogni fare, di ogni prassi è il movimento stesso di costituzione e di modificazione delle pratiche...Nella ripetizione delle precedenti pratiche accade tanto la loro continuità quanto la loro trasformazione...(sibilo di un tempo – sémpre – ereditato, / leggermente) Quando è accaduta la differenza, la transizione? La transizione , lo scarto, la trasformazione , non è percepibile mentre accade, noi siamo sempre prima o dopo di essa.(tútto fu allora – differente) Ma, come osserva Sini, “a un certo punto la differenza emerge, la frattura si impone alla coscienza, diventa evidente ( e quanto qui già tarla/ il bordo della carta)...Nella ripetizione accade sempre una continuità-differenza;la ripetizione produce cioè al tempo stesso una continuità e una continua differenza: ciò che essa mette in opera come lo stesso non è mai l' identico (“se accade la ripetizione,la ri-petizione è già la differenza”)...l' iterazione è alterazione. Non vi è mai differenza pura , ma differenza nella e della continuità. Non c'è mai, direbbe Merleau Ponty, “inizio da zero”, ma sempre “metamorfosi”...Dobbiamo allora aderire sino in fondo alla impossibilità di un occhio esterno e riconoscere che l' occhio deve essere interno. In altri termini: “ogni genealogia è una auto-genealogia... o , se preferite una auto-bio-grafia”...Il problema è la trasfigurazione del passato operata dalla retrospezione; il passato non è più visto com' era, ma attraverso gli occhi trasfiguranti, sfigurati del presente...” (e il furore/ dell' intima menzogna, e gli ócchi, /aggiogati, cóme - puri capri) .Partendo ora dall' indagine nella pratica poetica della Comoglio delle “caratteristiche ereditarie” genotipiche (della continuità) e fenotipiche ( della trasformazione), possiamo cercare di individuare alcune delle proprietà “biologicamente vitali” definite da Gio Ferri nel saggio “La Ragione poetica” (Mursia Editore) , e precisamente a) il piacere dell' essere b) l' adesione piena all' essere fenomenologico e c) l' idea immunologica del Sé ;Come in Sini, anche per Gio Ferri l' interpretazione si attua sempre all' interno della prassi ( “Non va mai dimenticato che le leggi dell' universo che decidiamo di accettare sono il risultato di una organizzazione semantica. Così come pure la legge del testo, comunque, è il risultato di una organizzazione semantica. Poiché nessuna cosa è fuori dalle strutture significanti che in quel determinato tempo e luogo riteniamo di attribuirla”, pag 63). L' ipotesi che noi proponiamo è la seguente, e cioè che la differenza determini una scissione tra la prima parte in cui predomina una tendenza fenomenologica ( l' esperienza corporea , la percezione sensibile esige infatti la capacità di scambio e di trasformazione proprie delle membrane osmotiche semipermabili, Koinonia, “l' álbero di baci” ) e la seconda parte in cui prevale la volontà della preservazione individuale del soggetto (“differente ... fu ronda “, con l' angoscia della possibile dissoluzione,” vénni a costruirmi/ in questa sola brocca”). Desiderio e Spavento. La differenza è allora proprio la membrana che rende possibile sia la trasformazione dell' ente che la preservazione della sua integrità. Per uno studio approfondito della teoria di Gio Ferri si rinvia il lettore al sopracitato saggio; è sufficiente alla nostra analisi accennare alla classificazione operata dall' autore della “ Ragione poetica” , il quale distingue nella “Poesia in quanto oggetto metabiologico” i seguenti caratteri fondamentali:
a) Il piacere dell' essere si rivela nell' “inutilità dell' esistenza” , ovverosia nella assoluta mancanza di uno scopo o telos predeterminato all' estrinsecarsi della vita in tutte le sue forme; ciò significa che gli organismi biologici vivono per il puro piacere di esistere; corollario a questa affermazione è b) L' adesione piena all' essere fenomenologico ovverosia l' importanza della sensitività corporea :”E' il sistema biologico autarchico che produce le rappresentazioni sensibili.La poesia è in queste rappresentazioni, e queste rappresentazioni sono nella poesia, le rappresentazioni in quanto sensibili devono rispondere quindi a norme biologiche. Ma in quanto rappresentazioni si evidenziano come oggetti metabiologici.”c) “La capacità dell' essere fenomenico (biologico e poetico) di prendere conoscenza dell' informazione (gene, codice,marca) e di manipolarla ai propri fini di sopravvivenza.Di qui nasce la “facoltà immunologica del Sè”L' autoaffermazione dell' identità molecolare nel difendersi dal Non-Sé, simile alla capacità della parola poetica di individuarsi e conoscersi nell' annullamento del rumore discorsivo.”
3Per riuscire in qualche modo a comprendere il senso mutagenetico dell' “albero” nella poetica della Comoglio forse è utile cercare di ascoltare quanto Giorgio Agamben dice nel suo saggio “L' io, l' occhio , la voce” (“La potenza del pensiero”, Saggi e conferenze, Neri Pozza Editore); cito dalla parte conclusiva del sopraddetto saggio, che tratta della poetica di Valéry e che si presenta come una riflessione sull' “Ego”, ovverosia sul soggetto che vede e che “si” vede, che parla e che “si” parla, ed in particolare tratta dell' abolizione dell' Io nella poetica occidentale contemporanea : “ In realtà è nella poesia che deve necessariamente giocarsi ogni tentativo di abolire e scavalcare l' Io. Secondo una tradizione che è consustanziale alla poesia occidentale, colui che parla nella poesia non è , infatti, il soggetto del linguaggio, ma un altro, che lo si chiami Musa, Dio , Amore, Beatrice. La poesia ha, cioè, da sempre fatto dell' alienazione la condizione normale dell' atto di parola: essa è un discorso in cui Io non parla, ma riceve da altrove la sua parola (parola “ispirata”, in cui lo spirito, il “soffio”, viene direttamente al linguaggio.) Mallarmé, la cui poesia restò in ogni tempo per Valéry l' esperienza decisiva, aveva cercato di spingere all' estremo questa abolizione dell' Io nella scrittura poetica; ma ciò che , in questo modo, egli aveva trovato al di là del soggetto dell' enunciazione non era altro che la lingua stessa.... Si capisce perchè, a questo punto, il problema diventi per Valéry quello di “sopprimere l' Io” , di “liberarsi da questa parola”, - poiché - “ il soggetto del linguaggio è una pedina doppia, insieme dentro e fuori del gioco , necessariamente presa in un processo di slittamento e di sfaldamento ...In che cosa l' operazione poetica di Valéry si distingue da quella di Mallarmé? Un limpido frammento del 1939 risponde a questa domanda:” Ma, di fatto, chi parla in una poesia? Mallarmé voleva che fosse il Linguaggio stesso. Per me, - sarebbe - l' Essere vivente e pensante ( contrasto ,questo) – che spinge la coscienza di sé alla cattura della propria sensibilità – sviluppando le proprietà di questa nei loro implessi – risonanze,simmetrie, ecc. -sulla corda della voce. Insomma, il Linguaggio scaturito dalla voce, piuttosto che la voce dal Linguaggio.” Non è forse questa volontà di recuperare l' origine della parola poetica generatrice di forma “nella sensibilità e nel corpo” ciò che Giò Ferri postula nella “Ragione poetica”e ciò che abbiamo incontrato anche nella poesia della Comoglio? Ed è ancora più interessante ciò che ancora ritroveremo qualche riga più avanti nel saggio di Agamben e nelle parole di Valéry, a testimonianza che poesia e pensiero scaturiscono da una subliminale comune radice :” In uno dei momenti centrali della sua poesia , La Pythie, Valéry descrive il dramma dell' impossibile ricerca di una voce che non sia né voce dell' Io né voce del linguaggio, ma scaturisca dalle profondità del proprio corpo...quando - dopo aver frugato nella propria carne e nel proprio sangue – essa finalmente parla, non è facile dire in che cosa la “voce di nessuno” ( e non è forse vero che Nessuno è anche un o dei “nomi” di Ulisse?) che udiamo si distingua dalla voce del linguaggio...e tuttavia , vi è un luogo che costituisce forse l' esperienza più intima di Valéry – in cui sembra che l' Io riesca veramente a scavalcare ( l' esperienza del ponte) se stesso per raggiungere , oltre il linguaggio,”l' oscura sostanza che noi siamo senza saperlo”. E' possibile alla poesia raggiungere questo luogo della Stimmung ( Holderlin, Heidegger) , cioè raggiungere il limite e superare la soglia del “dolore”? “ Nel “ Dialogo dell' albero” ( toh, guarda dove ricompare l' albero) , questa zona oscura al di là del soggetto è definita come “sorgente delle lacrime” ( la luce di sapermi pena- prefissata , pura ) e come “Ineffabile”...poichè le nostre lacrime sono, a mio avviso, l' espressione della nostra impotenza a esprimere, cioè a disfarci attraverso la parola dell' oppressione di ciò che siamo...così il soggetto del linguaggio non può – risalendo lungo la “corda” della voce, - toccare le sorgenti del pianto (sbiancándomi nel pianto) . Solo morendo l' Io potrebbe aprire un varco oltre se stesso ; ma questo è proprio ciò che l' Io non può fare , perchè la coscienza - questa purissima finzione teatrale – non può morire , ma solo ripetersi all' infinito...Fino all' ultimo la morte è per lui soltanto una “ tentazione”, una “cosa inimmaginabile che si introduce nello spirito di volta in volta sotto la forma del desiderio e dell' orrore. Ma ciò che sta al di là di questo desiderio e di questo orrore , nessuna voce può dirlo. La scommessa di Valéry resta senza risposta”. Il ponte non può essere oltrepassato. 4L' archetipo polare sessuale è sempre presente , anche in modo sincronico; si considerino ad esempio la poesia 1:II ed in particolare i versi “ nel términe che taglia e l' árnia e il bosco”: il bosco, con i suoi alberi verticali , è “termine” selvaggio e maschile mentre l' arnia , città delle api , è “termine” civile e femminile; eppure la parola “términe” è ambigua e sfuggente: non riusciamo a definirla in maniera univoca poiché ( lo abbiamo appena dimostrato) possiede contemporaneamente 2 significati sovrapposti : il significato di “confine” ed il significato di “parola”. In quanto confine, essa unisce e divide ciò che è maschile da ciò che è femminile (la polarità sessuale). In quanto sinonimo di “parola” , essa taglia sia l' arnia sia il bosco ; ora, cosa significa tagliare l' arnia e il bosco e il vivido-più-ampio-diluvio se non separare, scindere le parole nelle singole lettere ( a-r-n-i-a-b-o-s-c-o -v-i-v-i-d-o-etc) per rendere così questi fonemi (e morfemi) estremamente liberi, mobili, capaci di legarsi, sciogliersi, mescolarsi , fondersi sulla superficie della pagina ( in una sola parola: biologici) per creare continuamente nuove forme ? Con la parola “termine” la Comoglio focalizza il campo bipolare della sua poetica sempre sospesa tra l' istanza della designazione e della significazione . Il termine “arnia” è alquanto particolare, non essendo chiara la sua origine etimologica : alcuni ritengono derivi dal latino alnus (cioè dal legno dell' ontano, per trasformazione della lettera l nella consonante dura r, di cui sarebbero fatte le case delle api; tuttavia i latini utilizzavano la parola favus per indicare la casa delle api, che evidentemente deve la sua radice al verbo “faveo”, essere favorevole ), altri dal turco ary (ape) etc. Tra le varie ipotesi , la più seducente è forse quella dell' etimologia accadico-semitica “aranu”, dal nome di un fiume del medio-oriente che, attraverso la lingua etrusca, avrebbe trasferito il proprio nome al fiume Arno (Ipotesi della provenienza orientale degli Etruschi, da Wikipedia: Secondo una tradizione lidia riferita dallo storico greco Erodoto del V secolo a.C. (Storie, I, 94), gli Etruschi proverrebbero dalla Lidia (attuale Turchia), salpati dal porto di Smirne a seguito di una carestia. Sotto la guida di Tirreno, figlio del re Atys (e quindi all'incirca attorno al XIII secolo a.C.), avrebbero dapprima «oltrepassato molti popoli» e sarebbero infine giunti «presso gli Umbri (sulle coste occidentali dell'Italia) e nel loro paese costruirono molte città, dove ancor oggi vivono». I Lidi giunti in Italia avrebbero poi cambiato il loro nome in Tirreni dal loro condottiero.) . Anche il termine “bosco” ha etimologia incerta : alcuni ritengono possa derivare da “buxum” ( il bosso) , tuttavia sappiamo che i latini utilizzavano di norma la parola “silva” (selva); si potrebbe anche ipotizzare una derivazione da “Obscurus “ (ciò che è oscuro, privo di luce) oppure da “Oscus” ( degli “Osci”, antica popolazione dell' Italia meridionale, ad indicare le selve di questi territori campani, anch' esse “oscure” come la loro lingua ) . Il “términe che taglia e l' árnia e il bosco “ potrebbe semplicemente essere un locus di confine della Toscana e della Campania , ma questa è fantainterpretazione : ad ogni modo “tornare a lavare i panni in Arno” e nello stesso tempo rievocare una lingua ancora essenzialmente sconosciuta come quella degli Etruschi ( i quali, tra parentesi, fecero della profezia uno dei cardini fondamentali della propria religione) od oscura come quella degli Osci ( i quali, guarda caso, solevano sostituire il suono delle vocali e di alcune consonanti ai corrispondenti segni degli alfabeti etrusco, greco e latino che avevano di volta in volta adottato per trascrivere la propria lingua, operazione che abbiamo sovente riscontrato anche nei testi della Comoglio: es gechi per giochi, elmo per olmo, neve per nave etc ) è un altro dei paradossi in cui ci siamo imbattuti in questo testo. Può essere invece significativo segnalare il fatto che Etruschi ed Osci furono popoli confinanti , e che entrambi furono sconfitti, piegati (le térre genuflesse) , invasi, dall' emergente popolo “intermedio” dei Romani (il “ términe che taglia”, il “vívido-più-ampio dilúvio”) . Infine, il “términe che taglia e l' árnia e il bosco, e il vívido-più-ampio dilúvio” potrebbe essere la stessa lettera copulativa “e” ( ancora un termine sessuale, quindi ) tra l' arnia e il bosco , e allo stesso tempo il tratto “-” che unisce/separa le parole di “vivido-più-ampio”; arnia è una parola simile ad alba , con la sonorità aperta della doppia a, mentre bosco è una parola “oscura” come la notte, con la sonorità cupa della doppia o : orbene, la prima poesia del poema Olmo si apre con la parola “alba” (l' alba rovesciata nell' ul-tima parola) che prelude alla parola “notte” dell' ultima poesia ( visione dell' unica mia notte...il cane potente a mezzanotte) → se ciò è plausibile, la copula “e” ed il trattino “ -” potrebbero comprendere in sé e contemporaneamente esprimere ( in controtempo) il Canto della poesia e il Canto dell' esistenza
a) che abbraccia la vita fenomenologica degli esseri viventi tra i due poli ritmici del divenire , il giorno e la notte e b) che si rivela e si nasconde nella “cosa del pensiero” , ovverosia in quanto qualità (poion) si estrinseca nei limiti del linguaggio (in ciò che può essere detto e che ha un nome, la lettera “e” che è ” ciò che si dice e di cui si dice”, Platone VII lettera) ma in quanto Essere (on) ha origine ed è custodita solo nel silenzio ( in ciò che non può essere detto e che non ha un nome , la proteousia , l' ineffabile, il trattino “-”, Aristotele De Interpretatione) . 5Breve nota zodiacale, tratta da Manilio, “Astronomica (Il poema degli astri)” (Libro 4°, trad. a cura di Simonetta Feraboli, Enrico Flores e Riccardo Scarcia, Arnoldo Mondadori ed.),per il Sagittario, vv.230-243:” Ma a quelli, cui nel biforme corpo del Centauro sia stata concessa la sorte della nascita, piace aggiogare carri e guidare al flessibile morso infiammati cavalli e seguire il pascolo di armenti lungo sconfinate praterie, e ammansare ogni genere di quadrupedi con apposita doma...Poichè misto a quello delle fiere è il corpo dell' uomo in queste stelle e vi rimane sovrapposto, e dunque domina su di esse. E per il fatto che porta tesi i dardi sul curvato arco di corno, e nerbo alle membra concede e acutezza alla mente e movimenti scattanti e instancabile petto.”; per il Capricorno, vv.243 – 257b: “ Vesta ha cura dei tuoi fuochi nel suo santuario, o Capricorno: di qui trai le tue capacità e i tuoi gusti. Ché qualsiasi funzione necessita di fuoco, e un rinnovo di fiamma richiede per attivarsi,va censita sotto il tuo patronato. Sondare cieche miniere e fondere le ricchezze giacenti nelle vene del sottosuolo, e a mano amalgamare la materia con tecnica sicura, ...e fai rinascere l' anno al richiamo delle ore di luce. Di qui ancora mutabilità di circostanze, e | a Venere si asservisce non senza perversioni la parte anteriore, però | è migliore la vecchiaia per la giuntura di pesce”. Ancora una volta ricompare il furore dell' astuto ed ingannevole Ulisse, la sua capacità di trasformarsi e di mimetizzarsi , la sua abilità di manipolare le cose e gli esseri ( soprattutto femminili!) raffinando le forme , per così dire , in una nuova natura ( e parola) : a me sembra che tutto questo possa essere ricondotto alla sesta poesia dei Canti Onirici.
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