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Preg.mi
Presidente e Componenti tutti
dei
Gruppi Archeologici F.A.A.V.
Oggetto:
“Percorso di Archeologia industriale”, Schio
15/05/2011
Invio
con piacere l’invito e la documentazione per in nostro incontro
a Schio di domenica 15
maggio.
Gli amici del Gruppo Scledense, come potrete notare, hanno elaborato
per la visita un nutrito interessantissimo programma.
Al
mattino si visiteranno ambienti ed attrezzature dei famosi Lanifici
Rossi, testimoni superbi di una archeologia industriale illuminata e
redditizia. Una sosta quindi per il pranzo presso una trattoria del
centro (15,00 € circa) comprensivo di: primo, secondo, contorno,
acqua, vino o bibita, caffè. Pomeriggio visita alla città,
che vanta un’antica storia, alle antiche pievi ecc.
Ritengo
sia un’occasione da non perdere.
Serve
comunque quanto prima l’adesione tramite fax allo 0444/975622
oppure scrivendo all’ indirizzo e-mail
associazionefaav@libero.it specificando
i nominativi delle persone interessate. Per coloro che desiderano
pranzare presso la trattoria “Mezzaluna” è
necessario dare la propria adesione entro martedì 10 maggio.
Uniamo alla presente tutta la documentazione necessaria.
Vi
aspettiamo numerosissimi anche con amici!
Programma
“Percorso di Archeologia industriale”, Schio (VI) 15
maggio 2011
ore
10,00: appuntamento con le guide del percorso di archeologia
industriale in Largo Fusienelle
ore
12,30: pranzo alla trattoria “Mezzaluna” in via Mazzini
n. 14 .
ore
15,00: appuntamento a S. Martino alle Aste con la prof. Nadia Trecco
.
ore
16,30: appuntamento a S. Francesco col dott. Franco Bernardi .
ore
17,30: trasferimento, con la stessa guida, a S. Giustina di
Giavenale.
Per
maggiori informazioni inerenti il programma
Sig.
Pietro Giovanni Xotta,
Presidente
Gruppo Archeologico Scledense
Cell:
329.7204824 ; Fisso: 0445.520353
Laboratorio
della Civiltà Industriale
Primo
itinerario
Schio
e Alessandro Rossi: dalla fabbrica alla città della lana
Il
Patrimonio industriale
Il
modo di produzione alla base della rivoluzione industriale ha mutato
radicalmente il territorio nelle sue caratteristiche fisiche: corsi
d’acqua deviati, apertura di vie di comunicazione, costruzione
di fabbriche, vie ferrate, ponti. Nuovi manufatti sono comparsi a
mutare il paesaggio e i rapporti sociali: principalmente le
fabbriche, e di conseguenza tutta quella serie di infrastrutture -
centrali idroelettriche, villaggi operai, servizi sociali - ad esse
correlate. Questo veloce processo di trasformazione ha prodotto una
fisionomia dell’ambiente industriale a cui oggidì siamo
avvezzati, ma che solo pochi decenni fa era pressoché nella
condizione originaria, e quindi completamente dissomigliante
all’attuale. Riscontro diretto e puntuale della storia
industriale e dei processi produttivi e sociali avvenuti negli ultimi
due secoli, è l’archeologia industriale. Si tratta di un
ambito di studio e di ricerca che interessa primariamente l’insieme
dei resti fisici del modo di produzione industriale. Per sua natura
questa disciplina cointeressa molteplici aspetti del sapere: dalla
storia economica, all’arte, dall’urbanistica alla
letteratura, essendo pertanto uno studio squisitamente
interdisciplinare.
La
Civiltà Industriale a Schio
Schio
presenta le più valide testimonianze ancora oggi esistenti, e
godibili, nell’ambito dell’Archeologia Industriale
nazionale. E’ situata nella pianura dell’Alto Vicentino,
allo sbocco della Val Leogra e presenta interessanti testimonianze
legate alla preindustrializzazione, ma soprattutto alla vicenda
produttiva e sociale dell’imprenditore Alessandro Rossi. Nella
Val Leogra ha avuto fondamentale importanza - per lo sviluppo di
laboratori artigiani prima e dell’industria poi - la presenza
del torrente Leogra che fu maggiormente sfruttato con la costruzione
della Roggia Maestra. Tale opera idraulica fu fatta costruire dai
Conti Maltraversi all’incirca attorno ai primi anni del 1250;
alcune mappe antiche indicano una numerosa presenza lungo il suo
corso di mulini, battitoi, follature e magli, anche in tutta la zona
circostante. L’acqua era usata come forza motrice per molte
attività, ma anche negli opifici per il lavaggio della lana;
una volta raggiunta la campagna, serviva per l’irrigazione dei
campi. Sin dall’inizio gli abitanti stabilirono regole e norme
per il suo sfruttamento, tant’è vero che nello Statuto
Comunale del 1393 si trovano due articoli relativi alla gestione
della Roggia Maestra. La fortuna della Città si deve
principalmente all’arte della lana, attività praticata
sin dal ‘500, ma che vede la sua costante ascesa dal ‘700
grazie al primo importante lanificio di Niccolò Tron. Nel 1738
l’ambasciatore veneziano della Serenissima presso la Corte di
Londra fondò il suo primo opificio che fu ingrandito nei
decenni successivi e che ospitava 40 telai e 500 operai. Nel dicembre
del 1701 la Città ebbe la possibilità di produrre
“panni alti” ovvero di qualità superiore; è
di questo periodo la nascita di molti altri opifici cittadini per la
lavorazione della lana, che vedono gradualmente concentrare le varie
fasi produttive in un unico stabilimento. Sarà Francesco
Rossi, figlio intraprendente di un modesto pastore originario
dell’Altipiano di Asiago che all’inizio del XIX secolo dà
principio ad un processo esemplare di industrializzazione; il figlio
Alessandro porterà nel corso del ‘800
ad alti livelli lo sviluppo manifatturiero locale.
Primo
itinerario
Schio
e Alessandro Rossi: dalla fabbrica alla città della lana
Tempo
previsto: circa due ore + un’ora introduttiva
Da
percorrere a piedi o in bicicletta
Il percorso
Questo itinerario urbano ci conduce ad esplorare le principali testimonianze dell’intento industriale e sociale di
Alessandro Rossi nella Città e di quanto lasciato nel tempo dagli uomini legato al loro lavoro.
Il percorso inizia nell’antico centro cittadino, Piazza Alessandro Rossi, dove sorge imponente il Duomo; una salita
alla chiesa permette di ammirare l’affascinante anfiteatro costituito dall’altipiano del Tretto e dalle Prealpi vicentine.
Ai piedi del Duomo sorge la statua del tessitore modello, l’Omo dedicato dal Rossi ai suoi tessitori. Il tessitore
modello - realizzato da Giulio Monteverde nel 1879 – tiene in mano una navetta (parte del telaio per tessitura di
lunghezza variabile, appuntita alle estremità, contenente all’interno la spola con il filato per la trama) e ai suoi piedi si
notano delle pezze di panno. Alessandro Rossi vide un’opera dello scultore piemontese presso l’Esposizione
Industriale di Parigi nella primavera del 1878 e decise di seguito di contattare l’artista. Vi fu uno scambio di lettere e
disegni che si protrasse per un anno, e alla fine autore e committente si trovarono d’accordo sulla soluzione
concepita; l’opera fu così inaugurata il 21 settembre 1879. In principio l’Omo era situato nel crocevia dei viali Pietro
Maraschin e viale Alessandro Rossi, vicino all’ingresso dell’area manifatturiera.
Nel 1945, dopo varie peripezie l’artiere fu trasferito in Piazza A. Rossi, nel cuore dell’attuale centro storico. La statua
in pietra bianca innalzata su un piedistallo di granito incarna un operaio ideale e non rappresenta certamente un
tessitore fiaccato dalle lunghe giornate lavorative del tempo; del resto si deve interpretare lo spirito del tempo così
come appare nelle massime incise nel basamento.
Si prosegue verso la contigua Piazzetta Garibaldi e si imbocca subito Via Pasini; dopo circa 100 m si gira a
destra per via Pasubio (era Sareo). Mentre proseguiamo su Via Pasubio è possibile osservare lungo il lato destro
(dopo il cinema Sociale) il palazzo settecentesco dove abitava N. Tron, sede poi del Municipio ed ora Istituto
musicale.
Dopo ancora 200 m si giunge nel centro dell’attività produttiva ottocentesca dove si ammirano le testimonianze
industriali più significative.
Il primo opificio che possiamo osservare è il Lanificio intitolato a Giovanni Battista Conte (1757) che si trova
nell’incrocio tra Via Pasubio e via XX Settembre; Conte procurava la materia prima agli artigiani della zona e
successivamente divenne egli stesso imprenditore. L’area delimitata dall’alta mura apparteneva completamente
alla famiglia Conte e si estendeva su una superficie di tre ettari nella quale erano presenti l’opificio originale, la
residenza e il parco padronale. A partire dal 1860 l’opificio e l’area subirono importanti modifiche indotte anche
dallo sviluppo della vicina industria rossiana.
Nel primo ‘900 Alvise Conte sostituì i bassi fabbricati eretti a partire dal 1886 con una nuova filatura in cemento
armato; attualmente il terreno è stato acquisito da privati e nell’area dei vecchi edifici è in costruzione un centro
ad uso residenziale commerciale.
L’edificio più antico, che fin dall’inizio era dotato di tutte le strutture del processo lavorativo per la produzione dei
pannilana, è disposto lungo il corso della Roggia Maestra ed è tuttora visibile e ben conservato; in questo corpo
di due piani si trovavano la portineria e gli uffici. La facciata realizzata con materiali locali è marcata da finestre ad
arco ribassato contornate da mattoni e sul tetto è ancora possibile notare la campanella che scandiva i turni di
lavoro. Unito a questo fabbricato s’innalza lo stabilimento in ghisa e rivestimenti murari costruito dal 1866 al 1884
e distribuito su quattro piani. Nel 1929 vi si appoggiò il corpo per l’orditura in cemento armato e vetri che
sorreggeva la torretta con i due serbatoi d’acqua antincendio.
L’opificio originario è stato acquisito da una collaborazione pubblico/privato e nuove destinazioni d’uso sono in
fase di rielaborazione.
Tornando su Via Pasubio ci si dirige verso ovest per avvicinarsi al Lanificio Francesco Rossi e l’attigua
Fabbrica Alta. La nascita del Lanificio F. Rossi (1817) e gli sviluppi successivi sono stati un’esperienza di tale
portata da condizionare lo sviluppo sociale, economico ed architettonico locale con riscontri successivi anche a
livello europeo. L’edificio rivolto verso Via Pasubio fu eretto da Alessandro Rossi nel 1849 sulle fondamenta
dell’originario opificio del padre Francesco Rossi e posizionato di fronte al Lanificio di N. Tron (di quest’ultimo non
rimane nulla essendo stato demolito nel 1878). La facciata, nonostante le continue trasformazioni, si presenta
oggi con evidenti richiami al neoclassicismo vicentino; il prospetto del lanificio ha una sequenza di numerose
finestre rettangolari graduate in altezza (per favorire lo slancio verticale) in modo da indicare la scansione dei
quattro piani che un tempo occupavano diverse fasi della lavorazione, poi diventarono uffici e attualmente sono
vuoti. La porta centrale decorata dal nome del fondatore e dalla data di nascita dell’azienda è resa monumentale
dall’impiego dell’ordine tuscanico. Il prospetto mostra dieci bassorilievi posti sui parapetti delle finestre simboli
dell’attività imprenditoriale della famiglia Rossi; osserviamo i velieri che uniscono alle vele le enormi ruote a pale
ed i lunghissimi fumaioli dei primi sistemi di propulsione a vapore, le pecore merino da cui si ricava la lana,
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l’”Agnus Dei” ricordo delle corporazioni medioevali dell’arte della lana, le mercanzie. Sopra il portale d’ingresso
centrale trovano posizione gli elmi alati e i caducei, attributi di Mercurio Dio del commercio.
Di là del portico d’ingresso si nota maestosa la Fabbrica Alta unita in senso ortogonale rispetto al precedente
edificio e sicuramente d’elevato impatto sociale ed urbanistico nel contesto territoriale dell’Ottocento. La Fabbrica
Alta fu progettata nel 1861 dall’architetto belga Auguste Vivroux nel corso di un soggiorno a Schio; i disegni dei
progetti si sono scoperti solo recentemente presso il museo di Liégi, in Belgio. L’edificio ha una lunghezza di 80
m, una larghezza di 13 m e un altezza di cinque piani, ognuno dei quali ospitava una diversa fase della
produzione laniera. La forza motrice per il funzionamento dei macchinari era prodotta da una macchina a vapore
in due caldaie tubolari e da un turbine idraulico che funzionava alternativamente. Sebbene il progetto sia stato
realizzato dall’architetto belga, è presumibile che ci sia stata una collaborazione di Antonio Caregaro Negrin,
amico del collega belga e architetto di fiducia di Alessandro Rossi. Il materiale usato per la costruzione è
principalmente laterizio locale piuttosto e pietrame. Si notino le testate delle putrelle di ferro in forma di piccoli
rosoni, il diverso impiego del cotto nel contorno delle finestre e il motivo romboidale del fregio sottotetto. Tra il
1966 e il 1967 l’edificio è stato dismesso trasferendo il ciclo produttivo nella zona industriale di Schio; al presente,
l’edificio di proprietà del gruppo Marzotto è stato svuotato.
Durante la fase di rinnovamento promossa da Alessandro Rossi si assiste anche alla sistemazione dell’area di
fronte al Lanificio F. Rossi, il futuro Giardino Jacquard. Questo luogo che naturalmente presenta un dolce
pendio verso il colle, è trasformato ed abbellito dal 1864 e fino al 1878; erano infatti originariamente presenti
nell’area strutture funzionali al vicino opificio come asciugatoi e stenditoi per i panni lana. Nell’1878 fu
definitivamente demolito anche l’edificio che occupava la Tessitura Jacquard (l’originario lanificio di N. Tron), il
quale era collegato - come si nota in documenti storici del 1859 - con la fabbrica F. Rossi mediante un cavalcavia
aereo; la tessitura fu sostituita con la “Tettoia per gli operai” realizzata dall’ingegnere E.L. Pergameni e ancora
visibile sul lato sinistro rispetto all’elegante cancellata d’ingresso.
Questo angolo verde è opera dell’architetto vicentino A. Caregaro Negrin mentre la cura della notevole varietà di
piante era affidata a Marco Restiglian dell’Orto Botanico di Padova. L’architetto ha saputo abilmente inserire
nuovi elementi a quando già esistente nel contesto: le due case d’angolo rivolte verso l’attuale Via Pasubio, la
torretta ottagonale con tetto a pagoda e la cinquecentesca chiesetta di San Rocco (risistemata in stile neogotico)
alla sommità del colle. La torretta chiudeva un tempo lo stabile qui presente e destinato alla tessitura, ed era
anticamente destinata a contenere i “pisciatoi” in base all’usanza di utilizzare l’urina nel processo di lavorazione
della lana per la sua forte percentuale d’ammoniaca; fu trasformato poi in torre uccelliera seguendo i canoni
tradizionali del paesaggio e della villa rurale veneta.
Sul lato destro del giardino osserviamo il Teatro Jacquard che si estende verso la parte posteriore del parco;
l’edificio era inizialmente destinato ad abitazione per il custode, stalla, magazzino, ma subì una trasformazione
nel 1869 divenendo una sala teatrale polivalente capace di accogliere 800 persone. La facciata in stile
lombardesco è arricchita da dodici medaglioni, che rappresentano illustri personaggi scledensi. Orientando lo
sguardo verso sinistra si è catturati dalla serra a forma concava che sembra quasi essere un sipario che cela il
ninfeo retrostante; tutta l’area posteriore è caratterizzata da un sistema di grotte, brevi camminamenti e gradinate,
balconi belvedere e popolata da figure mitologiche. La precisa collocazione di questo giardino - con la sua
ricchezza d’essenze vegetali anche esotiche, trova armonico inserimento tra il vecchio centro storico della città e
l’area di sviluppo degli opifici nei pressi della Roggia. In questo splendido giardino romantico – che oggidì risente
un po’ della poca manutenzione – fu collocata nel 1899 una statua di bronzo dello scultore milanese Achille
Alberti che rappresenta Alessandro Rossi in età avanzata.
Dopo questa pausa d’evasione romantica dirigiamoci verso il centro cittadino e, all’incirca 150 metri dopo sul lato
sinistro della strada notiamo a ridosso di alcune alte piante l’Asilo d’Infanzia intitolato ad A. Rossi; nel 1872
infatti, lo stesso acquista un terreno precedentemente occupato da fabbricati per costruirvi un asilo a favore dei
figli dei suoi operai. I lavori affidati ad Antonio Caregaro Negrin sono velocemente conclusi con la realizzazione di
un edificio di circa 1200 mq con un corpo centrale ad un piano e le due ali laterali a due piani. La scuola sarà
modificata nove anni dopo per accogliere le esigenze della popolazione scledense in costante aumento; con
l’aggiunta di due piani al corpo centrale l’edificio fu in grado di accogliere ben 500 bambini.
Da segnalare l’incisione posta sopra l’ingresso “in puero spes”, a dimostrazione della grande fiducia che il
committente riponeva nelle giovani generazioni.
Di fronte all’asilo imbocchiamo Via XX Settembre e la percorriamo fino a giungere in Via Pietro Maraschin, asse
principale del Nuovo Quartiere Operaio il quale si estende fino al torrente Leogra; l’attuale Via P. Maraschin fino
al 1937 terminava con l’Asilo di maternità (ora demolito), il quale segnava il limite nord del quartiere. La crescente
industria laniera aveva generato negli ultimi decenni dell’Ottocento una forte concentrazione di manodopera
proveniente dalle zone confinanti verso la città, e di conseguenza una considerevole richiesta di abitazioni; a tali
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esigenze doveva rispondere il progetto del Nuovo Quartiere Operaio - redatto tra luglio e agosto 1872. Fu
concepito inizialmente dal committente e dal progettista prevedendo - al di là degli assi ortogonali Via P.
Maraschin e via A. Rossi - strade curvilinee, rade costruzioni unifamiliari, bifamiliari e solo raramente plurime; gli
alloggi erano solo 125 accompagnati da un immenso parco all’inglese, da servizi comunitari, scuole e teatro.
L’idea originaria non si attuò, ma si diede avvio ad un progetto di quartiere a scacchiera con distinzione tra le
diverse tipologie abitative. Su Via Maraschini fanno da cornice le architetture dei villini più signorili dalla casa del
capofilanda, ora Giuli al Villino di Giovanni Rossi (ex sede dell’ufficio imposte). Quest’ultimo fu realizzato da A.
Caregaro Negrin tra il 1876 e il 1890 e qui esprime la formazione classica e la tradizione veneta del palazzo
veneziano; la pianta originaria era quadrata e organizzata attorno ad un vano passante che funge da spazio
distributivo per le ali laterali. L’edificio fu modificato tra il 1896 e il 1898 per opera dell’ingegnere G. Rezzara che
raddoppio l’originale planimetria. Nell’ampliamento il palazzo perse la scalinata d’accesso, ma acquistò
un’imponenza maggiore. Il parco che circonda il villino era in origine di grandi dimensioni e conteneva un
padiglione a pianta esagonale con motivi decorativi cinesi e la casa rustica per il giardiniere; inglobava inoltre
alcuni terreni a frutteto, in seguito utilizzati per l’espansione del lanificio Rossi. La recinzione realizzata con
materiale locale è costituita da un muretto rustico di mattoni e ciottoli. Nonostante le manomissioni con nuove
costruzioni, una visita al quartiere si rivela molto interessante per comprendere la novità urbanistica e l’organicità
delle strutture.
Ci avviamo a concludere il percorso osservando dapprima il Teatro Civico che si affaccia anch’esso su Via
Maraschin; questo edificio non rientra strettamente nelle istituzioni volute da A. Rossi, pur tuttavia è segno
materiale della vitalità culturale raggiunta dalla piccola cittadina. La costruzione per opera dell’architetto vicentino
Ferruccio Chemello risale al 1906 e fu possibile grazie alla creazione spontanea di una cooperazione
(“Cooperativa per il Nuovo Teatro”) tra cittadini che si erano prefissi la costruzione di un teatro più capiente
rispetto a quello sociale, per una cittadinanza che raggiungeva ormai le 16mila persone . Pochi metri più avanti in
direzione della stazione ferroviaria scorgiamo l’ex Asilo infantile e Scuole elementari comunali femminili, (ora
Liceo Artistico). Eretti nel 1876 questi edifici dovevano portare a compimento quella serie di edifici destinati
all’educazione dei giovani. I progettisti E. Pergameni e G.B. Saccardo (ingegneri del Lanificio) prevedevano una
struttura articolata in due settori distinti per i bambini dell’asilo e per quelli delle elementari.
Alla fine del grande viale Maraschin, di fronte alle scuole appena citate fu costruita tra il 1879 e il 1880 la Chiesa
dedicata a Sant’Antonio Abate; la sua ubicazione, proprio all’ingresso principale del villaggio, crea un
collegamento tra la vecchia Schio attraverso Via Pasini e la Nuova Schio attraverso Via Maraschin. Fu eretta
sulle fondamenta di una preesistente chiesetta annessa al vicino convento delle Agostiniane. Fu voluta da A.
Rossi quale segno evidente della concezione cattolica e come punto di riferimento di ogni forma di progresso e
progettata da A. Caregaro Negrin. Il tempio, in stile lombardo-bizantino, presenta la tradizionale pianta a croce
latina i cui bracci sono conclusi da absidi. La navata centrale è il doppio delle due navate laterali ed è separata da
queste da robusti pilastri; al suo incontro con il transetto si innalza la cupola, ricoperta all’esterno da lamine di
rame. La facciata, con tetto a salienti, presenta nel corpo centrale un breve atrio abbellito da un elegante
colonnato concluso da tre agili archi; al centro è presente, all’interno di una lunetta, un mosaico che dal 1929
sostituisce un precedente affresco raffigurante la vita del Santo. L’interno è riccamente ornato con numerosi
dipinti e sculture, opere di artisti provenienti da tutto il Triveneto. La chiesa, recentemente restaurata si presenta
in ottime condizioni ed è ben frequentata dalla comunità locale.
A cura di Stefania Torresan (fonte: vedi proposta bibliografica sulla Civiltà Industriale di Schio)
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