Direzione editoriale e letteraria Flavio Ermini
Progettazione e cura grafica Raffaele Curiel
© Anterem Edizioni, 2007
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DEDICAZIONE D´IMPOTENZA
C´è un dovere assoluto ¬ per chi eserciti il severo magistero della parola lirica ¬ ed è quello della salvezza: si intende
la salvezza non è altro che una fictio scenica del poeta, un attimo di sembianza (in cui cioè la salvezza
pare, ma non è.)Il dovere è quindi quello di giungere alla perfetta sembianza della salvezza. Eppure,
nel mio canestro di parole quella fortuna è negata. E qui, anche qui, niente di strano:
quella sembianza della salvezza di cui parlavamo, benché preparata da un severo lavoro, non è altro che un caso ¬
e cioè, per dirla in chiaro, una fortuna. Quindi si lavorano i giorni dei giorni, come in un mulino che macini sempre
lo stesso grano, e a volte si tira fuori la farina più dolce e perfetta, ma la maggior parte delle volte si guarda nella
macina e che si trova ? Piú nulla, perché troppo si è lavorato, ed alla fine non è rimasto altro che il niente delle nostre
intenzioni. Il lavorare del poeta non è che il provare a percorrere il tempo nel senso inverso rispetto a quello che gli
spetta. Ed in questo il poeta è simile allo storico (donde la somiglianza profonda delle due discipline, che non sono state
casualmente connesse). Il poeta tenta di trattenere ciò che ¬ inevitabilmente ¬ è destinato ad andare. Si fa, con le parole
liriche, il contropelo al tempo. O meglio, vi si prova: il tempo, infatti, non consente quel contorsionismo supremo, quel
colpo di mano, che al poeta sembrerebbe riuscire. No, niente bari nel tempo:
al massimo, illusi. Quindi la poesia vive di certo in un attimo: quel tempo morto in cui la morte del tempo parrebbe essersi
consumata.
Il vero poeta vive tra la consapevolezza della sua inutilità (e per questo si sente sciocco) e la sciocchezza dell´attimo
in cui crede di essere utile, che cioè l´uso delle parole possa d´un tratto avere salvato il tempo dal tempo (ed è per questo
che appare sciocco agli altri).
Di questa doppia sciocchezza ¬e senza accampare scuse ¬ sono fatti questi versi.
ANDREA BELLANTONE è nato a Messina nel 1978. Profondamente legato alla Sicilia, ha condotto i suoi studi
liceali e universitari nella città dello Stretto . Nel 2001 si è laureato in filosofia e nell´anno successivo ha
iniziato un dottorato di ricerca in Metodologia della Filosofia presso l´Università degli Studi di Messina.
Al suo attivo diverse pubblicazioni su riviste filosofiche e in atti di convegni. Attualmente collabora alla ricerca
nel Dipartimento di Filosofia dell´Università di Messina.
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Sottigliezza di donna
Il dosso, nel trancio di te,
nel personale del tuo conto di carne,
era l´abbuffata delle mancanze,la stortura della bellezza
Nella ghiaia delle fosse , sotto i ministri,
lí , della tua vista, (sotto gli occhi insomma),
si faceva facile il sonno.
E quali scranni di mani avrebbero trovato
le tue zeppe d´ossa provocatorie.
Eri ritinta di pelle , pura epiteliale,
geometria variabile del tuo seno
fatto di due pizzichi.
L´aggancio del pelvi,
scorbuto magnanimo del ventre
non aveva fretta dell´uso
o dell´abuso
come il temibile assentire della bocca.
Dalla parte all´altra , per te
c´era solo un soffio di grembo.
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Invocazioni a mano
Il pesto giusto,tarato a notte,
il bruno delle favelle , quando si dice,
la parola a lista , riga sotto riga,
e falsa.
La baluginata gogna e promessa,
la federa stesa sugli occhi,
e guance , e labbra , e naso,
il viso.
E poi travisate, evidenza sotto evidenza,
innumeri cosette d´ innamorati.
A mano a mano , invocati,
frusti , futili ,bramati,
e tuttavia adeguati a quelle assenze.
Il calcolo d´uso , l´arrendevole abuso,
l´effetto ottico del consumo:
l´affanno di quelle manciate,
che uno dava all´altro,
e parevano, poi, tutte deragliate,
mai destinate a buon esito,
infiacchite, stolide, a mezz´aria.
Erano le cuciture stremate,
le strenne a bassa lega di un culmine,
di una termite polare.
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Ipotesi
Al ramo , l´impiccato fa la fila
e la fine sua.
Nodoso crampo, di legno.
E avrà qualcosa da fare, quel penzolare.
Oppure no : sarà solo quel manico
per bertucce morte , e lì tutto.
Ma l´angolo di vento muta,
e muove la visuale:
sarà buono anche per qualche altra vendemmia,
il tocco di legna.
Sarà , e si vedrà.
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Ignota
E tu ¬ che t´eri più bella
fatta ai miei occhi,
per il dolce sorridere¬
vantavi al gioia
senza chiedere dazio,
oppure scotto alcuno.
Ti bastava , anonima,
gettare la semenza aperta
del doppio arco del viso ,
rosso di labbra,
e tutto mi apriva la tua delizia.
Per te, vista e sorpresa
dentro la vita fragile ,
avrei toccato il fermento
della felicità.
Così , con la mancia
del tuo giorno io avrei vissuto,
anche qualche anno
d´elemosina,
e sarebbe stata l'unica grazia
che avrei chiesto,
l´unico vezzo tra le miserie
delle opere e dei giorni.
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Sed non satiata
Avevamo , noi , le risse
ei fregi di rossori,
oppure umide striature,
vergate da sera a mattina.
C´era il sazio volto
che faceva comparsa,
ma seriveva solo a svelenire
la ribalte delle atroci doglie.
Poi ti afferrava , ancora ,
il timone , e riprendeva
il corso vermiglio,
la rotta corta dell´altra vanità.
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La pubblicazione delle poesie per gentile concessione dell'editore |
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