"Prima vivi e poi scrivi", consigliava Hemingway; "ho molto sofferto e dunque ho diritto di parlare",
gli faceva eco Artaud. Mezzo secolo dopo , difficilmente si potrebbe dar loro ascolto perchè oggi viviamo la maggior
parte delle nostre esperienze attraverso i mass media e la sofferenza è per noi, per lo più, il dolore degli altri,
a cui assistiamo, attoniti o indifferenti, dagli schermi tv .In questo slittamento verso l´inesperienza ,
le idee dell´ umanesimo letterario si estinguono , i confini tra realtà e finzione si vanno sfocando, l´immaginario collettivo
trionfa sui diritti della vita vissuta conquistando un nuovo statuto egemone e l´autorità dell´esperienza decade:
l´arte del racconto ,l´antico mestiere di dare senso allo vita attingendo da essa fatti dispersi e restituendole storie,
e costretta allora a battere altre strade. Nel 1963 ripresentando il suo romanzo d´ esordio, Il sentiero dei nidi di ragno
, Italo Calvino raccontò la generazione del neo¬realismo ,la sua generazione, come quella di una comunità di di narratori
che, proprio perché uscita dall´esperienza tragica della guerra, aveva tante storie da raccontarsi. Muovendo da Calvino,
Antonio Scurati riflette oggi sulla propria generazione di scrittori, la prima a essere cresciuta con la televisione, una
generazione di uomini per i quali la guerra è stata una serata trascorsa in salotto davanti alla televisione soseggiando
birra fresca.
Antonio Scurati (Napoli, 1969), è ricercatore in Cinema, Fotografia, Televisione all´Università
di Bergamo, dove coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Ha già pubblicato i
saggi Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale (2003, finalista al Premio Viareggio) e
Televisioni di guerra (2003). Il suo romanzo Il sopravissuto(Bompiani, 2005) ha vinto la XLIII edizione
del Premio Campiello. Nei Tascabili Bompiani è appena stato pubblicato, in una nuova versione, il suo romanzo d´esordio
Il rumore sordo della battaglia.
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